Nero aveva scelto l’inferno

DI CARLO MINGIARDI

Fermò l’auto nel sentiero che portava a quell’abitazione isolata in campagna, spense il motore, uscì e si avvio avvolto dalla fitta nebbia verso l’ennesimo delitto.

Passi felpati, respiro controllato, giaccone scuro per confondersi nell’oscurità, viso scoperto perché sapeva che la vittima non avrebbe avuto scampo, nella tasca destra un coltello a serramanico.
Osservò a lungo la casa spoglia ma illuminata internamente, era quasi irreale, sembrava uscita da un libro di Stephen King. Costeggiò la siepe di alloro, e giunse davanti all’uscio color verde tundra, non ebbe nemmeno bisogno di usare il passepartout per entrare perché la porta era socchiusa.

Scivolò dentro con l’abilità di un contorsionista e amplificò al massimo la percezione dei suoi cinque sensi.

Nero viveva solo per quei momenti, del resto non gli interessava più niente.
Aveva iniziato da piccolo ad uccidere farfalle, lucertole, era passato alle rane del canale che scorreva vicino casa sua, si era poi specializzato con gatti, cani e qualsiasi altra creatura gli capitasse tra le sue orrende mani.

Per lui non faceva differenza, il suo unico intento era veder soffiare via la vita, era ossessionato da quell’ultimo atto.
Lavorava in un mattatoio, era un professionista della morte, ma un giorno si rese conto che gli animali non gli bastavano più e allora iniziò con il genere umano.

Non aveva preferenze, uomini, donne, giovani, vecchi, l’importante era uccidere, sempre con la stessa metodologia, tre fendenti nei punti vitali. Poi prendeva il cellulare e riprendeva con meticolosità la vita che scivolava via, nella sua estasi disumana.

Nell’abitazione suonavano le note di “The dark side of the moon”, provenivano dall’ultima camera del lungo corridoio.
Nero iniziò ad avvicinarsi a quello che sembrava uno studio.
I suoi ventricoli pompavano sangue alla velocità di novanta battiti al minuto, i cento miliardi di cellule che componevano la sua struttura corporea erano attraversate da fiumi di adrenalina, ogni neurone aveva raggiunto una carica elettrica tale da farlo vibrare come una corda di violino, le pupille dilatate al massimo erano iniettate di sangue, staffa incudine e martello erano tese alla percezione di ogni più piccolo rumore, la mano destra già imbracciava la lama che mandava riflessi dall’acciaio lucido.

Quando entrò nella stanza una nuvola di fumo da tabacco di pipa proveniva da dietro una poltrona, l’obiettivo era li seduto. Valutò che doveva fare almeno sei passi per arrivarci. Uno, due, tre, quattro, al quinto alzo il braccio che teneva il coltello, al sesto sentì un ringhio terribile di cane.

Si voltò di scatto come una molla, ma quel movimento rapido fece cedere le assi logore del pavimento sotto i suoi piedi e crollò tutto.

Sprofondò tutto, finì tutto in istante, neanche il tempo di rendersi conto.
Era la notte del 6 aprile 2009, una scossa di terremoto di magnitudo 5,8 della scala Richter, segno la fine di tante persone, anche di Nero.
Lui non era un serial killer, ma un ragazzo di ventisette anni relegato al letto della sua cameretta per una grave paralisi cerebrale subita dalla nascita.

Nero nel corso degli anni aveva cercato di crearsi una vita, quella che gli era stata negata, ma era stato solo capace di produrre un immenso odio nei confronti di tutto e tutti.
Nella sua mente malata uccideva, toglieva la vita.
Non aveva la possibilità di fare assolutamente niente, non poteva muovere nessun muscolo del suo corpo, dipendeva in tutto da altri.

L’unica cosa che poteva fare era viaggiare con la sua fantasia e ogni notte seguiva una vittima e la eliminava. Avrebbe ucciso il mondo intero, perché in quella situazione aveva deciso di fare quello.

Quando lo estrassero dalle macerie, accanto a lui trovarono Buck, il suo fedele maremmano, l’ultima cosa che aveva sentito era il suo ringhio, perché i cani percepiscono qualche istante prima l’arrivo di un terremoto.

La mente umana è capace di produrre qualsiasi cosa, può creare il paradiso o l’inferno, Nero aveva scelto l’inferno.

Immagine tratta dal web

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