Neve, cane, piede, Claudio Morandini

DI MARIO MESSINA

“Neve, cane, piede” non è la mera narrazione delle vicende di un anziano eremita e della sua modesta casupola ad alta quota.

Racconta, piuttosto, di una compenetrazione: quella tra l’Uomo e la Natura. Una fusione tale da far apparire del tutto normale agli occhi del lettore un cane dialogante o una letargia umana basata su una drastica riduzione dei bisogni essenziali (quali mangiare e bere) accompagnata da una estensione della fase del sonno come forma di resistenza al rigore dell’inverno.

Ma la Storia, si sa, non lascia in pace la Natura. Assumendo la forma dell’Istituzione diviene invadente, fastidiosa.
Nel dialogo tra la Natura (l’eremita) e l’istituzione (il guardiacaccia) lo scrittore raggiunge, a mio modesto parere, il punto più alto della narrazione portando il lettore a parteggiare per il primo e svelando tutta l’artificiosità delle regole declamate dal secondo.

Norme prettamente frutto della creazione umana e che risultano inopportune e ridicole in uno stato di natura.

Imposizioni buone per il cittadino inurbato ma inapplicabili al di fuori del loro contesto.
In uno stato quasi ferino la Necessità é infatti l’unica regola e il timbro sul porto d’armi soltanto il vezzo di una divisa inamidata.

Ad una costruzione del racconto così efficace nella sua semplicità non é corrisposto però, a mio modesto parere, un finale altrettanto elaborato.
Una conclusione precipitata e scientifica chiude, infatti, inaspettatamente, in poche righe, una vicenda che sembrava avere ancora tanto da dire.

Per rimanere in tema naturalistico è come se l’autore avesse scelto di abbattere un albero con un unico colpo di accetta invece di indirizzarne, con sapienza, la caduta a piccoli colpi.

Immagine tratta dal web

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