Orme sotto i tigli

DI LUCIANA IBI

Una soffitta, un baule, una ragazzina curiosa alla ricerca di tesori nascosti…
Mi trovasti così, inginocchiata a terra, la luce spiovente sulle trecce, tra le mani le lettere dal fronte spedite a tua madre.

Il tuo sguardo severo, i miei colpevoli occhi abbassati.
Poi il rumore del Baule che si chiudeva e la tua voce un po’ roca che mi diceva :-“Te lo racconto e poi non ritorno più sull’argomento. È una storia ormai chiusa.”

E così, mentre le ombre si allungavano in soffitta, io vidi scorrere sul tuo volto le immagini di un ragazzino dai capelli rossi che seguiva suo padre al lavoro nella fornace di mattoni.

Le lunghe ore, la fame sempre presente, la stanchezza e su tutto il marchio del disonore.
Oggi non sarebbe così grave essere figli di nessuno.
” Chiamavano mio padre ” bastardo, capisci? Non l’ho mai visto sorridere! ”

Ascoltavo assorta e non capivo perché sulle lettere avevi due cognomi.
Me lo svelasti così, senza giri di parole:
-“Mio padre morì prima che la madre potesse dargli il suo nome, così toccò a me l’eredità di quella nobildonna, ormai libera da vincoli”.
Al fronte arrivavano i pacchi con indumenti e cibo che tu distribuivi e mai una volta riuscisti a dire “Grazie”.

Il dolore di tuo padre era un terribile marchio da portare.
” Tornato dalla guerra non accettai né il nome né l’eredità. Firmai in tribunale e restai fedele a mio padre”.
Ti alzasti, tendendomi la mano.
Mamma in cucina chiamava per la cena…

Non fosti tu a descrivermi la bisnonna ma, una cugina più grande di me di vent’anni.
Quella piccola donna dai capelli bianchi, nel cappellino, che cercò il figlio e trovò invece, il nipote partito per la guerra.

Le sue lacrime, il suo dolore, il racconto su quel figlio strappato alle sue braccia di ragazza innamorata dell’uomo sbagliato.
Tua madre la capi’, la capirono le donne, ma voi uomini no. Non ci fu perdono.
Non ne parlasti più, fedele alla promessa fatta.

Ho apprezzato tutto di te, sento sempre la tua mancanza, sei stato una guida, mi hai amata, hai amato la tua famiglia…ma padre mio com’è difficile scoprire che non si ha radici.
Ora che il passato ha steso un velo su quel che siamo, io ritorno ancora a cercare la tua Ombra sotto i Tigli e ti vedo…

Con i capelli ramati, un uomo dal volto bello, le tue mani che girano le pagine dei libri e, quel tuo orgoglio che ha impedito il perdono e così hai sofferto a lungo, quell’ eredità rifiutata, impressa a fuoco nell’ardore del tuo carattere passionale…che mi hai tramandato.
Eccole qui, padre mio, le nostre radici

©® Copyright foto di Luciana Ibi

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