Paul Gaugin – Te tamari no atua (nascita di Cristo figlio di Dio)

DI ROBERTO BUSEMBAI

Ogni artista, di qualsiasi genere, sia pittorico, musicale, scultoreo, fotografo ecc, perchè possa essere definito tale, deve esprimere i suoi sentimenti e le sue emozioni in piena libertà interiore e strutturale, ossia libero da ogni congettura artistica e libero con il pensiero e con la mano.

Ogni artista poi ha il bisogno personale di farsi riconoscere, di dare appunto quella particolarità, unica, esclusivamente sua, che va oltre la “maniera” della pennellata o scalpellata, che va oltre sfumatura o levigatura, ma che si esprime soltanto e solamente attraverso la sua personale vita, le sue esperienze umane facendole trasparire in un contesto che potrebbe essere quello abituale, ma con un risultato ben diverso e con una lettura alquanto particolare.

Questa premessa per descrivere una particolare Natività, che propriamente non si potrebbe nemmeno definire tale almeno se ci richiamiamo al concetto formale che tutti conosciamo di quello cristiano, ma una Natività che accenna al Gesù e alla Madonna con l’applicazione di una eterea forma di aureola nelle figure rappresentate di una donna partoriente e di un bambino nelle braccia di una levatrice, alle figure di diversi bue in lontananza che richiamano le rappresentazioni più classiche del presepe.

Il Maestro Paul Gauguin nel 1896 dipinse questa “Te tamari no atua” tradotto “Nascita di Cristo figlio di Dio” nell’isola Polinesiana di Tahiti e precisamente nelle vicinanze della capitale Papeete, dove era tornato a vivere in una modesta capanna insieme a una giovane compagna del luogo Pau’ura.

La rappresentazione di questa opera a prima vista offre la visione di una giovane donna tahitiana sdraiata su un letto in atto di riposare o forse seguire con l’occhio stanco il bambino che appare al suo fianco in braccia a un’altra donna del luogo.

Sia la donna dormiente che il bambino hanno un accenno di aureola e a fianco della donna che tiene il pargolo appare un angelo così riconosciuto dalle ali verdi, mentre in lontananza s’intravedono diversi bue a consolidarci che ci troviamo in una stalla.

Il tutto fa pensare a una rappresentazione della Natività cristiana ma Gauguin non era particolarmente pio e non era suo fine cristianizzare i tahitiani, il Maestro in Polinesia aveva trovato la sua libertà interiore e esteriore, lontano dalla civiltà del mondo occidentale che lo offuscava e lo inorridiva.

Ma è più una rappresentazione velata di cristianità (le aureole) per rappresentare invece un suo episodio personale che gli accadde proprio in quell’anno, ovvero la nascita da parte della sua compagna di una bambina che purtroppo dopo poche ore morì.

Il trauma subito dal Maestro è bene identificato dalla figura che tiene il bambino in braccio, una donna scura, simile a una tipica rappresentazione dello spirito dei morti del popolo tahitiano. Lo spirito della morte che cede il bambino nelle braccia dello spirito dell’aldilà ovvero a un angelo.

Una frase tratta da una lettera che Gauguin aveva scritto ad un amico, il pittore Odilon, dopo poco che era ritornato a Tahiti e poco prima di questo dipinto, gli esprimeva più o meno con queste parole il suo attaccamento al luogo e la sua profonda motivazione…

“ Credo che la mia arte, che tu ammiri tanto, sia solo un germoglio, e spero di poterla coltivare lì per me allo stato primitivo e selvaggio.”

Immagine web: Paul Gaugin – Te tamari no atua

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