Pieter Bruegel il Vecchio, Conversione di Paolo

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

La Conversione di Paolo, di Pieter Bruegel il Vecchio, è un quadro complesso è molto lontano dal semplice intento didascalico potenzialmente ipotizzabile.

L’autore, pur raffigurando un episodio tra i più conosciuti della storia biblica – Paolo, convertito sulla via di Damasco in seguito a voci e visioni tali da provocarne la caduta da cavallo – approfitta, come di consueto, per rifarsi ad interessanti situazioni a lui contemporanee, oltre a programmare inusuali scenari atti letteralmente a spostare e fuorviare la visione dell’osservatore, quest’ultimo distratto e volutamente indotto ad attenzionare tutto quanto si prospetti ai propri occhi perdendo di vista la vicenda principale.

Bruegel utilizza un sistema collaudato e originale, praticamente obbligando lo spettatore a distogliere lo sguardo, non tanto a causa del contesto proposto .

Molti autori hanno l’abitudine di riempire, talvolta infarcire, i dipinti attraverso miriadi di presenze più o meno richieste dalla narrazione imperante, ma il massimo che ottengono è una più attenta ricerca comunque catalizzata intorno all’oggetto che si è consci di dover ricercare – quanto esercitando una parvenza di soggiogamento mentale, nel senso più nobile del termine, in grado di far dimenticare anche ciò che si stava cercando.

Così appaiono censimenti di Betlemme, ed altri episodi similari, persi tra curiosi paesaggi e abbigliamenti improbabili, identificabili solo grazie alla denominazione dell’opera, quasi a suggerire la beffarda visione di un ironico, vagamente dispettoso pittore, il quale si diverte a mascherare il proprio affascinante scenario in un coacervo di ingannevoli dettagli.

In realtà, non si tratta esattamente di queso, e ciò si conferma, ancora una volta, nell’opera proposta.
Intanto, l’anno di realizzazione: Bruegel realizza il dipinto nel 1567, anno in cui il Duca di Alba attraversa le Alpi, diretto a sedare le rivolte religiose fiamminghe tra cattolici e protestanti, utilizzando in tal modo un evento storicamente documentato, socialmente e politicamente rilevante, per collocare il tutto, ma non si limita a questo: rilegge la conversione del futuro santo, ancora solo spiritualmente colpito, nella più intrigante considerazione dell’atteggiamento dell’uomo al cospetto del mistero, consapevole di un’altra modalità possibile, in questo caso enunciata dal prodigioso fenomeno.

La scelta stessa del panorama, tra aspri dirupi che abbandonano, in lontananza, i rassicuranti terreni pianeggianti, non ha mancato, almeno secondo alcune letture di taglio prettamente religioso, di rievocare la condizione spirituale dell’uomo e i suoi momenti di instabile fragilità.

Ed è proprio su questa strada improponibile, peraltro sbarrata da una moltitudine di armigeri che ne complica ulteriormente l’individuazione di eventuali vie d’uscita, che improvvisamente ci ricordiamo di Paolo e riusciamo minimamente ad individuarlo, disperso tra lance e cavalli, senza alcuna luce divina latrice di novelli miracoli.

Solo, in un tripudio di elementi altri, che raggiungono tuttavia lo scopo, preordinato dall’artista, di stimolare la nostra, fin dall’inizio richiesta, meditazione.

Pur presenziando al verificarsi di eventi diretti ed eclatanti – la conversione di Paolo cambierà la storia del mondo religioso dell’epoca – non ne siamo in realtà né travolti né coinvolti, sovente distratti, mai partecipi, e ciò, al di là di un discorso limitatamente ecclesiastico, si può facilmente ricondurre alla vicina quotidianità che Bruegel, fine sceneggiatore, riesce a mostrarci…

Pieter Bruegel il Vecchio (1525-1569), Conversione di Paolo, 1567, olio su tavola, 108×156 cm., Vienna – Kunsthistoriches Museum
Immagine: web

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