Presunti Maltrattamenti a Scuola (PMS): più perplessità che certezze

di Vittorio Lodolo D’Oria

Continuano ad arrivare testimonianze di maestre che hanno in corso processi per PMS. A volte ne escono assolte e altre sono condannate, ma sempre provano una grande sofferenza per l’offesa alla loro professionalità.

Più volte ho sottolineato come vi siano alcune domande che chiedono, anzi esigono, una risposta: 1) perché l’Italia è l’unico Paese del mondo occidentale che presenta il fenomeno dei PMS?

2) perché i maltrattamenti in famiglia sono di ben altra gravità (uccisioni, fatti di sangue, violenze inaudite etc) rispetto a quelli che si sostengono avvenire a scuola (sculaccioni, strattonamenti et similia)?

3) perché ambedue i maltrattamenti sono disciplinati dallo stesso articolo del Codice Penale (542) nonostante siano tante, anzi troppe, le differenze che intercorrono tra l’ambiente familiare e quello scolastico parafamiliare (ambiente privato vs pubblico; rapporto singolo madre-figlio vs rapporto plurimo maestra-alunni; singolo stile educativo vs stili educativi multipli; finalità educativa vs finalità socializzante; presenza maschile paterna vs assenza maschile).

L’ultima testimonianza pervenutami in ordine di tempo bene esprime l’amarezza della maestra Marta giunta in pensione da poco e alle prese con la chemioterapia per un tumore esploso, guarda caso, dopo l’inizio della vicenda giudiziaria.

Gentile dottore, come la maestra di cui lei ha scritto nel precedente articolo, ho avuto anche io lo stesso quadro di manifestazioni. Prima ero insegnante allegra con gli alunni e scherzosa con le colleghe. Mi divertivo insieme ai bambini, ridevamo insieme. Tuttavia, era normale che in certi momenti dovesse prevalere la serietà. Invece quei genitori e soprattutto le mamme che hanno testimoniato contro di me contestavano sia i momenti autorevoli che quelli di scherzo e allegria. Non riesco a spiegare e a far capire il male che ho subito. Vorrei che ciascuno provasse il dolore e l’amarezza che hanno condizionato la mia vita da allora. All’inizio tutti, nella mia scuola erano lì a tranquillizzarmi dicendo che si trattava di una cavolata. Invece è finita diversamente anche se il reato è stato derubricato da maltrattamenti ad abuso dei mezzi di correzione. Ora resto sola col mio dolore e il mio tumore ad affrontare con amarezza la tanto sospirata pensione. Per fortuna mi è di sostegno la mia bella famiglia. Sentire lei vicino a noi maestre, mi dà conforto e gliene sono riconoscente. Marta

Le perplessità e la testimonianza sopra espresse si accompagnano – come più volte riportato in questa rubrica – ai discutibili metodi utilizzati per le indagini che si basano quasi esclusivamente su audiovideointercettazioni (AVI), effettuate con telecamere nascoste incuranti dei diritti alla riservatezza di individui e lavoratori. I filmati di alcune centinaia di ore, riguardanti l’attività professionale di una maestra indagata, vengono infatti contestati, dopo accurata selezione aversa, nell’ordine dello 0,1-0,4% del registrato. Gli inquirenti non-addetti-ai-lavori infatti selezionano le scene esclusivamente negative, quindi le estrapolano, poi le decontestualizzano, infine le trascrivono drammatizzandole. Siamo sicuri che in questo modo si riuscirà a riprodurre fedelmente la realtà del clima scolastico nel quale vivono i bimbi? Proviamo a rispondere analizzando una vicenda reale che ben si presta al nostro caso per alcune peculiarità.

La vicenda

In un asilo famiglia, autorizzato con troppa leggerezza dal Comune di residenza, la titolare era solita chiedere alle educatrici di scattare numerosissime foto e girare altrettanti filmati ai bimbi ospitati per poi inviarli ai loro genitori con l’intento di dimostrare che i pargoli mangiavano, giocavano e dormivano senza problemi. La realtà però sembrava essere affatto diversa poiché vi avvenivano strattonamenti, episodi di alimentazione forzata, sgridate stentoree e altro ancora.

Dopo la denuncia di due genitori, scattavano come al solito le indagini con telecamere nascoste con tutto ciò che segue in simili casi. Particolarmente interessante è la considerazione che viene espressa dall’inquirente capo che commenta così l’usanza della titolare dell’asilo di spedire foto e filmati dei bimbi ai rispettivi genitori sui gruppi WA: “Le convinzioni della titolare sono basate su video e foto dei bimbi all’asilo ma riscontrate false e prive di ogni aspetto di spontanea sincerità”. Ci preme qui sottolineare che potremmo essere perfettamente d’accordo con l’inquirente, ma non possiamo esimerci dal sostenere che il sistema utilizzato dalla titolare dell’asilo è il medesimo usato dall’Autorità Giudiziaria. L’unica differenza consiste nel fatto che mentre la titolare dell’asilo estrapola i frame e i video a lei congeniali per tratteggiare una verità surreale di benessere e tranquillità per i bimbi, gli inquirenti selezionano esclusivamente foto e filmati negativi dai contenuti sgradevoli. In ambedue i casi la ricostruzione del clima dell’ambiente scolastico risulterà affatto distorta. In altre parole, la situazione riprodotta dagli inquirenti è altrettanto surreale rispetto a quella rappresentata dalla titolare dell’asilo. Probabilmente è questa la ragione per cui la suprema Corte di Cassazione considera importante la visione degli interi filmati delle AVI e non sufficiente quella di singoli video o frame.

Sempre nel medesimo caso si è verificato un fatto che offre lo spunto per un debito approfondimento. In un passaggio significativo del brogliaccio si legge una singolare valutazione psicologica (se non addirittura psichiatrica) sulla titolare dell’asilo: “La donna evidenzia un profilo comportamentale complesso e traviato da proprie congetture e pregiudizi evidenziando un narcisistico egocentrismo dispensando indicazioni e pseudo-prescrizioni in ambito dietologico e psicologico che collocano la predetta in una situazione dominante e di sopraffazione”. Il giudizio espresso può corrispondere o meno alle caratteristiche dell’individuo esaminato, ma ciò che fa specie è che l’autore dello stesso non ha alcuna competenza psicologica o psichiatrica ma è un semplice inquirente diplomato in disciplina affatto differente dalle discipline psicologica e psichiatrica. Ecco che ritorna prepotentemente il problema di inquirenti non-addetti-ai-lavori chiamati a dirimere controversie scolastiche o anche semplicemente caratteriali.

Tornando invece ai discutibili metodi d’indagine con la selezione avversa dei filmati è bene riflettere con metodo scientifico ricorrendo a modelli matematici che vengono in nostro aiuto. Cosa è lo OUTLIER TRIMMING teorizzato nel 1973 da Francis Anscombe? Si tratta di un metodo di calcolo che scarta i valori estremi (migliore e peggiore) di un campione poiché gli stessi determinano un impatto smodato sulla elaborazione del modello. Detto metodo fu adottato per qualche anno anche in Formula Uno con l’eliminazione del risultato migliore e del peggiore di ciascun pilota nel redigere la classifica generale.

Nel valutare i filmati delle intercettazioni (che sono centinaia di ore di attività professionale delle maestre) gli inquirenti considerano, al contrario, esclusivamente gli OUTLIER NEGATIVI (filmati frutto della selezione avversa), negando così ogni scientificità al processo che dovrebbe essere semmai fondato sulla selezione randomizzata dei filmati per rappresentare la realtà vera ed effettiva. Questo metodo inficiato dal bias della “selezione avversa esclusiva” introduce un vizio ineluttabile nella valutazione finale degli eventi, portando a un inevitabile giudizio negativo per ogni professionista sottoposto a osservazione. Se dunque il metodo di analisi è sbagliato, il risultato non potrà che uscire conseguentemente alterato. Riusciremo mai a capirlo?

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*Immagine Pixabay

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