Quel: «Troooooppo forte!», che non mi sono mai spiegato

DI GIOVANNI BOGANI

 

La villa era grande come Versailles, in cima a una grande collina piena di alberi e di fresco.

Dentro c’erano saloni di stucchi e specchi, e ti aspettavi di vedere uscire gente in livrea e parrucca, o cardinali e papi. Io, con la mia borsa di plastica che forse aveva scritto “Addas”, senza una i, io forse con la giacca Adidas – vera, ma sfinita – comprata usata a a 2.500 lire, che mi avrebbe accompagnato ancora altri anni, e che ho ancora oggi.

Io davanti a quella specie di grande palcoscenico teatrale. Ma a me non importava niente. Importava di quei ragazzi e quelle ragazze che erano arrivati lì, come me. Venivano da luoghi lontanissimi e mitologici: dal resto d’Italia.

Beh, ora non è facile spiegartelo, a te che leggi, e che vieni da questo nuovo millennio, così banalmente uguale al mio, eppure così drammaticamente nuovo. Non c’erano i telefoni cellulari, lo sai.

Se volevi chiamare qualcuno in Sicilia, o a Trieste, dovevi spendere una fortuna, ogni cinque secondi il telefono inghiottiva un gettone, era come chiamare gli Stati Uniti. Anzi, oggi con Whatsapp non costa niente neppure quello.

Non c’era Ryan Air, nessun ragazzo andava in vacanza a Lloret de Mar, a saltare giù dal balcone dell’hotel dritto dentro la piscina tre piani più sotto, alle quattro di mattina, col quindicesimo Mojito in mano.

Il mondo, fuori dalla tua città, era immenso e sconosciuto. Solo alcuni audaci se ne andavano a Milano o persino in Germania, a sentire un gruppo rock. Ma io ero un bambino buono, un bambino di provincia, sapevo sognare ma non ero andato mai, da nessuna parte.

Il ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette, quest’altr’anno giocherà… Beh, avevo solo le spalle strette. E giocavo nella piazza della Costituzione, ed era già quello un immenso campo di battaglia, con i suoi gangsters, le sue vittime, i suoi codardi e i suoi eroi.

C’erano stucchi e specchi, e c’erano ragazze che venivano da mondi lontani. Due venivano dal Piemonte, si fermarono un po’ a parlare con me, e poi dissero: “trooooppo forte! Sei troooppo forte!”. E io che mi chiedevo: perché “troppo”? Non l’avevo mai sentita quell’espressione.

Verdone, in quel momento, era ancora un ragazzo che aveva fatto uno spettacolo a teatro, e stava per esordire in una trasmissione televisiva che si chiamava “No stop”.

Nessuno poteva sapere che da quella trasmissione sarebbero venuti tutti i grandi talenti comici dei decenni successivi, quelli che mi avrebbero fatto ridere e piangere. “Sei trooooppo forte!” dissero ridendo tutte e due, ed erano festose, bionde, allegre, leggere.

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