Raffaello Sanzio – Lo sposalizio della Vergine

DI ROBERTO BUSEMBAI

 

Anche l’arte ha bisogno di dolcezza, serenità e bellezza, ha bisogno di esprimere amore e purezza, semplicità e naturalezza, e allora quale miglior Maestro può offrire tutto questo?

Raffaello Sanzio, perchè solo lui ha potuto donarci e ancora farci abbandonare a quella gentile rappresentazione della vita e delle cose, a quella naturalità innocente che diversamente abbiamo perduto e che non riconosciamo neppure più nei nostri bambini.

Soltanto a lui possiamo ricorrere per respirare un attimo di estraneità e cullarci di sorprendente e evanescente senso di leggerezza, quel senso che, prima di tutto questo, avevamo e non apprezzavamo a fondo e soltanto adesso ne sentiamo la mancanza e il bisogno.

Ho scelto lo sposalizio della Vergine di Raffaello, perchè sia di buon auspicio e di speranza quell’unione e che quel fatidico anello che poi è l’interprete principale di tutta l’opera, sia prodigioso davvero come lo è si è sempre creduto nella realtà dei tempi.

La commissione di questo quadro ha in primis una lunga e affascinante storia prima di arrivare direttamente a Raffaello ed è proprio di questa storia che ho piacere di esporre a coloro che ancora non la conoscessero, anche se famosa e abbastanza nota, ma facendo così apprezzare e valorizzare di più il concetto e l’opera stessa.

Nell’anno 1472, un frate francescano di nome Vinterio fa sosta a Perugia, era in pellegrinaggio verso Assisi dove avrebbe assistito all’allora festività del Perdono. Ma cosa mai aveva da farsi perdonare un frate francescano? In effetti costui l’aveva combinata grossa, per vendicarsi di un’accusa di furto di vari calici a Città della Pieve, dove poi risultò innocente ma i suoi concittadini di Chiusi non credevano alle sue risultanze, aveva rubato, per davvero, prima di abbandonare la città, un prezioso anello dalla chiesa di San Francesco in Chiusi, una preziosa reliquia della Vergine Maria.

La leggenda voleva che l’anello possedesse doti particolari e soprannaturali, tanto che, per esempio, fosse in grado di compiere miracoli, come dare la vista ai ciechi, oppure di allontanare e spaventare gli spiriti maligni.

Soprattutto si diceva, avere la forza di tenere salda ogni unione e di sanarla se ce ne fosse stato bisogno, la leggenda raccontava anche che questo “monile” fosse stato portato a Chiusi da una principessa romana Mustiola avendolo ricevuto in dono dal suo amato fidanzato, che però essendo di fede cristiana, per questo fatto aveva subito la lapidazione e la quasi consorte ebbe la stessa punizione e poi santificata divenne figura molto venerata di Chiusi.

Figuratevi quando la città venne a conoscenza del furto e non solo ma lo seppe in quanto il fraticello ladruncolo aveva affidato l’anello a un certo Luca di Francesco delle Mine il quale a sua volta lo aveva donato al Comune di Perugia e quest’ultimo addirittura ne indisse una sontuosa festa dichiarando così l’anno 1473 l’anno dell’anello.

La reazione di Chiusi fu naturalmente forte, la richiesta di restituzione del maltolto fu il minimo, si arrivò persino a sentenziare una guerra tra le due cittadine senonché il papa in carico in quel periodo, ovvero Sisto IV della Rovere, si intromise come paciere e dichiarò che l’anello dovesse rimanere a Perugia.

Dopo l’ostensione della reliquia e la grande festa, Braccio Baglioni, il signore di spicco di allora della città, (che malelingue pensarono pure che fosse il mandante del furto stesso, in quanto teneva troppo a quella reliquia) si prodigò perchè questo anello non subisse altri ignobili furti, perciò fu costruita una cassa di legno ferrato con sette chiavi, ognuna delle quali fu data in possesso alle diverse autorità; il vescovo, al priorato, al capitolo, al collegio del Cambio e della Mercanzia, ai notai e ai dottori.

Poi la stessa venne rinchiusa in un’altrettanta cassa, stavolta di ferro, chiusa con quattro chiavi che furono date in custodia ai principali ordini religiosi; agostiniani, francescani, domenicani e serviti. Più di così!

Assolutamente, la cassa fu ingabbiata sotto l’altare della cappella del Palazzo Comunale, sotto la costante guardia di addirittura dieci priori!
L’anno 1488 il forziere con l’anello ebbe nuova destinazione, fu trasferito sopra l’altare di un’apposita cappella dedicata a San Giuseppe nella nuovissima cattedrale di San Lorenzo, e dove l’anno successivo si dette ricerca di un pittore che fosse in grado degnamente e sorprendentemente di rappresentare lo sposalizio della Vergine Maria.

E voi pensate che fosse il Raffaello il prescelto? No ancora troppo presto per lui, allora il Maestro del momento era Bernardino di Betto ovvero il grande Pinturicchio. Il lavoro fu accettato, ma il Maestro era molto occupato in altre faccende affaccendato e con scusanti e varie gli anni passavano e del dipinto non se ne faceva niente.

Trascorsi ben dieci anni si ebbe il buon senso di chiedere nuovamente a un altro maestro pittore e stavolta la richiesta fu fatta a Pietro Vannucci detto il Perugino che compì il lavoro magnificamente tra il 1500 e il 1505.

Proprio in quel periodo, il nobile Albizzini, che aveva il patronato della cappella di San Giuseppe in San Francesco a Città di Castello, per abbellirla ebbe la voglia di avere una cosa simile a quella che stava facendo il Perugino in cattedrale a Perugia e scelse un allora giovanissimo pittore, Raffaello.

Raffaello ebbe perciò motivo di dover vedere l’opera del Perugino, ma al contempo si capì subito che la sua non era una “copia” ma, anzi, un’evoluzione pittorica senza eguali, anche se a prima vista paiono uguali, la diversità in Raffaello è soprattutto nell’eleganza e nell’elasticità e naturalità dei personaggi che non sono fermi e statici come in quelli del grande Perugino, ma “vivono” “ agiscono” e “si muovono” .

Lo stesso tempio che si erge alle spalle del gruppo dei personaggi in primo piano, è un edificio che si potrebbe costruire e non più una quinta scenica come si usava allora. Notevole poi la rappresentazione in primo piano di quel personaggio che spezza la verga, che ci riporta alla fonte del quadro stesso, ovvero ai Vangeli apocrifi.

Raffaello al tempo aveva 21 anni, ma era cosciente della sua grandezza e delle sue magnifiche qualità , tanto da volutamente e astutamente firmare ben evidente in lettere latine: RAPHAEL VRBINAS MCIII.

Nella speranza che questa leggenda dell’anello sia ancora valida, facciamo che possa riconsolidare un rapporto tra due Stati di cui conosciamo i nomi e le atroci vicissitudini.

Immagine web: Raffaello Sanzio – Lo sposalizio della Vergine

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