Raoul Dufy, Le cavalier arabe

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Raoul Dufy, di estrazione sociale piuttosto popolare, figlio di un padre organista che gli trasmette la passione per la musica, ma purtroppo non molto altro, si ritrova costretto, in giovane età, a cercarsi un’occupazione.

Nonostante ciò, in quel di Le Havre, dove la famiglia si trasferisce in cerca di maggior fortuna, riesce comunque a frequentare i corsi serali della locale Accademia delle Belle Arti, frequentando i quali conosce il pittore Othon Friesz, con cui cementerà, oltre ad una solida amicizia, un proficuo rapporto artisticamente collaborativo.

Entrambi rimangono particolarmente colpito dalle innovative caratteristiche palesate dalle tendenze di Henry Matisse. Dufy si lascerà conquistare dall’utilizzo di linee marcate e colori forti; dettagli che non mancherà di utilizzare nella realizzazione di molte sue opere, peculiarmente a partire dal 1908, quando si reca in Costa Azzurra, ben deciso a raffigurare i colori forti delle acque che ama tanto.

Il suo schieramento con i Fauves, tuttavia, non sarà mai ufficiale, in parte a causa della provenienza fortemente influenzata dall’Impressionismo di Boudin, ma anche in conseguenza della obiettiva difficoltà di etichettare e classificare un artista tutto sommato molto originale e tendenzialmente irregolare.

Conosce Monet e Pissarro, li apprezza e li ammira, ma sono le immagini di Matisse a travolgerlo in nome di un’arte a lui decisamente più congeniale, che ama arabeschi e ghirigori e desidera esternare le proprie amate evoluzioni in dinamici slanci di colore realmente tipici della sua arte.

La trasfigurazione dei movimenti reali, espressione di freschezza e gioventù, trova conferma nelle parole atte a descriverlo di Jean Cassou, sovrintendente del Musée National d’Art Moderne, il quale, nel 1953, lo definiva un mago ed allo stesso tempo un creatore potente. Innovatore ed audace, tanto da poter essere annoverato tra gli artisti fautori dell’arte moderna.

Cromatismi tali da creare una sorta di comunicazione diretta, generata da una luminosità nuova ed inaspettata: quella che è stata definita pura gioia di dipingere, tale da eludere il soggetto in nome dell’indeterminatezza, secondo il principio per cui l’arte deve assurgere a qualcosa di più che ad un puro e semplice elemento decorativo.

Ben visibile ne Le cavalier arabe, detto anche Le cavalier blanc, prezioso riassunto d’uno stile di vita esuberante, a tratti irriverente, non a caso talvolta accomunato, nella propria intensa leggerezza, ai personaggi di Italo Calvino, o alla grazia, comunque conquistata a prezzo di grandi fatiche, di Wolfgang Amadeus Mozart, tra mitiche araldiche di cavalieri inesistenti e visconti dimezzati, musicati da una universale, irrefrenabile genialità.

L’ecletticità di Dufy, tra l’altro, non rimane confinata alla sola pittura: celebre la sua collaborazione con lo stilista Paul Poiret – insieme creano splendidi tessuti con decorazioni da sogno – signorile esponente della raffinatezza Anni Venti, secondo quello spirito Belle Époque così ben rappresentato da Denise Boulet, sua moglie e musa, nota anche come Madame Poiret, fine interprete delle creazioni del marito, nonché prototipo della garçonne…

Raoul Dufy (1877-1953), Le cavalier arabe ( Le cavalier blanc), 1914, olio su tela, 66×81 cm., Parigi – Musée d’Art
Immagine: web

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