Serafino de Tivoli, astrolabio

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Il livornese Serafino de Tivoli, proveniente da una benestante famiglia di origine ebraica, ha la possibilità di frequentare gli ambienti accademici fiorentini, dove usufruisce degli insegnamenti del celebre, nonché originale paesista Károli Markó il Vecchio, il quale non manca di instradarlo verso gli ordinari canoni pittorici dello stile neoclassico, pur corretti da tendenze innovative che forgeranno la sua duttile personalità di libero esecutore.

E infatti il giovane autore, sin dagli esordi, mostra una spiccata predilezione per lo stile en plein air e le nuove sperimentazioni sul genere, tanto che frequentando il Caffè Michelangiolo, celebre ritrovo di noti artisti, esterna il proprio carattere esuberante ed irrequieto, probabile risultato anche della precedente vita militare, connotata da esperienze di combattimento diretto e coraggioso volontariato.

Collabora a fondare, assieme al fratello Felice, la Scuola di Staggia, importante movimento ispirato al modello della Scuola di Barbizon, nota in Francia per la raffinata tendenza a riunire esponenti del realismo inclini al romanticismo, a cui aderiscono, tra gli altri, sia Károly Markó il Giovane, figlio e seguace del suo antico maestro, Carlo Ademollo e Alessandro La Volpe.

Il commendevole intento di osservare la natura dal vero, priva di artificiosi orpelli atti a turbarne una immagine vera e diretta, lo porta ben presto ad addentrarsi in proficue e stimolanti conversazioni, e nel 1855, in occasione dell’Esposizione Internazionale di Parigi, la cui visita lo segnerà indelebilmente, si reca presso la capitale francese assieme ad alcuni colleghi ed ivi incontrandone altri al pari di Domenico Morelli.

Ha la possibilità di visitare L’atelier di Constant Troyon e rimane incantato al cospetto delle opere di Camille Corot; esperienze grazie alle quali maturerà profonde riflessioni che influenzeranno lo stesso movimento dei Macchiaioli.

L’idea di poter procedere ad una realizzazione rappresentativa basata su chiazze di colore libere da qualunque ingabbiamento di contorno, conquista il suo animo, sin dagli esordi dedito ad anelare una tale sfuggente dimensione, in cui la luminosità finirà per assurgere ad elemento dominante.

La conquista di una innovativa maniera di riprendere la luce, tramite forti contrasti, a tratti audaci e sorprendenti, soddisfa, almeno in parte, le sue introspettive esigenze di nuove espressività, per un risultato non scevro di solide basi, ma dirimente in quanto a trasformista incisività.

Nell’opera proposta, realizzata tra il 1873 ed il 1875, Serafino de Tivoli asseconda la propria cultura tradizionale, proponendo uno scorcio di paese che, ad ogni buon conto, presenta l’elemento caratteristico dello splendido astrolabio, strumento astronomico da sempre dominante immaginario e fantasia collettiva, sovente presente in saghe fantasy come Games of Thrones, e comunque spesso a suo modo latente sia in racconti di genere che in oggetti di uso quasi quotidiano, talvolta aspiranti eredi di sottesa enigmaticità.

Hocus Pocus docet…

Serafino de Tivoli 1825 – 1892
Astrolabio (1873/75)
Olio su tavola (24 x 16 cm)
Collezione Privata

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