Smettiamo di usare il genere femminile, come scappatoia per le bugie raccontate

DI MARIA RONCA

Nella disamina della questione femminile è interessante notare come certe frasi continuano a permeare la cultura sessista e come si sottovalutino i meccanismi viziosi e refrattari al cambiamento.

Accusiamo le donne di non essere capaci di solidarizzare, e guarda caso, sono sempre gli uomini a tenerle nella condizione di fare competizione, individuando la “prediletta”, assurgendola a eroina dell’ufficio, anche qui il “gallo cedrone” sazierà con armeggi e solfeggi, l’ego, trovando Narciso nel suo riflesso un’altra donna, che altro non sia, troppo intelligente da farsi scoprire.

La relazione perfetta.
La falsa idealizzazione si completa con la definizione della “donna di classe” altro non è che la predestinata a stare a un passo dall’uomo.
Sortilegi in barba alla scalata al potere.
Tutto accadde tranne che cambiare il bisogno di fare carriera.

Non si sprecano monologhi su, come le donne siano interessate solo e soltanto a fare carriera e a cercare principi rospi, per sistemarsi a vita, di accasarsi, di abusare del prestigio per prendere un posto in società.

Come se le donne non studiassero e non fossero abbastanza stimate o capaci nell’autodeterminarsi e di meritarsi di avere prima di tutto, un lavoro per non dipendere da nessuno e vivere del proprio lavoro.

Sono supposizioni che non lasciano dubbio: usare il genere femminile, come la scappatoia a tutte le grandi bugie raccontate, per secoli, per tenere le donne lontane dalla politica, dall’economia e dal potere.

L’allontanamento dai luoghi comuni è ancora un obiettivo per evitare che certi comportamenti e frasi, possano bloccare l’evoluzione del ruolo femminile in tutti i campi e continuare di loro partendo solo e soltanto dalle differenze e dai limiti.

Maria Ronca, Sociologa

Immagine tratta da Pixabay

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