DI ROBERTO MENEGHINI
La Morte attraversò come il solito, la porta spazio temporale, ma qualcosa non aveva funzionato, non era il posto giusto. Doveva recarsi al capezzale di un giovane moribondo, ma lì non c’era nessuno. Lo sentiva, non era lontana, la vita che doveva portare con sé.
Per questo motivo, avvolta nel suo mantello nero, incappucciata per benino, la falce saldamente stretta in mano, decise di percorrere a piedi, di buon passo la strada che conduceva alla sua vittima. Ogni tanto passava un’auto e dalla strada sterrata si alzava un turbinio di polvere che si disperdeva lentamente, solleticandogli la gola arsa. Era estate, e lo diceva il sole alto. Il caldo opprimente. La campagna in fiore.
Racchiusa nel suo mantello nero, la morte cominciava a percepire una strana sensazione. Sudava. Sentiva il sudore raccogliersi in goccioline e cadere giù per le ossa. Scivolare lungo la colonna vertebrale, infilandosi in ogni feritoia, e da lì scendere lungo le gambe per poi svanire, lentamente asciugate dal venticello umido che si divertiva a scuotere gli alberi, a far dondolare l’erba al suo passaggio.
Era veramente stanca. La Morte. Per riprendere fiato sedette su un paracarro, fianco alla strada, e approfittò del momento di riposo per guardarsi attorno. Inutile affaticarsi, di sicuro non lo aspettavano, né si sarebbero preoccupati del suo ritardo anzi… lei sapeva benissimo che sarebbe arrivata al capezzale del moribondo in perfetto orario: né un minuto prima né un minuto dopo. Poteva prendersela comoda.
Di là dalla strada c’era una collina. Su un versante cresceva erba incolta. Dietro di essa aveva inizio un bosco fresco e ombroso. L’altro lato era coltivato a grano. Era biondo e maturo, sotto il sole di luglio. Ondeggiava dolcemente sospinto dal vento, le stesse folate che s’insinuavano indiscrete sotto il mantello e dentro il cappuccio. Un gruppo di contadini tra uomini e donne, falce in mano, aveva iniziato a tagliarlo. La Morte era incantata dai loro movimenti. Non aveva mai visto niente di simile. Una falciata dolce e decisa e una parte di grano s’inchinavano lentamente al suolo. Volavano in aria insetti, pulviscolo d’oro, papaveri e fiordalisi.
Lei la falce, la usava in un altro modo. un diverso scopo …
Era affascinata dai contadini che, bracciata dopo bracciata, stavano mietendo il campo. Altri raccoglievano spighe dorate e le trasportavano lungo il pendio fino al trattore. Le ragazze cantavano a voce alta; il loro canto rimbalzava in un eco felice che si perdeva tra le spighe e i sorrisi. Il sole, biondo e caldo, illuminava dall’alto dando un tocco di favola all’ambiente che, lei non aveva mai visto. Intensi profumi, un misto di fiori e spighe, di farfalle e sole, s’infilavano dentro il suo corpo, sempre più giù, sciogliendosi tra gocce di sudore che accarezzavano le ossa procurandole un incomprensibile benessere.
Una delle ragazze indaffarate a raccogliere il grano si tolse il fazzoletto che le copriva la testa e lo sventolò richiamando l’attenzione della figura scura seduta al limitare della strada.
<<Ehi laggiù vieni a darci una mano.. Si proprio te, con quella falce stupenda.>>
La Morte si guardò in giro, prima di accettare l’invito, incerta se la ragazza si rivolgesse proprio a lei. Aveva altro da fare che andare a mietere il grano in compagnia di belle ragazze ma la curiosità era tanta. Che male c’era? In fondo si era riposata abbastanza e, comunque fosse, doveva riprendere il cammino. Si alzò, scosse il mantello impolverato, raccolse la falce e si arrampicò verso la ragazza. Risalire la collina toglieva il fiato perché il campo era in pendenza, per questo motivo era mietuto a mano e non con la trebbiatrice.
Finalmente la morte arrivò vicino alla giovane donna. Una giovane ragazza, robusta e sorridente, ma con la tristezza nel profondo degli occhi.
<<Dai dimostraci cosa sai fare con quella bella falce..>>
La Morte non poteva essere derisa sfacciatamente come stava facendo l’insolente ragazza. Ma per quanto decisi fossero i colpi inferti dalla falce, non una spiga venne recisa. Restavano lì a ondeggiare sotto risate divertite e colpi inutili. Con la sua scheletrica mano, nascosta da un paio di guanti neri, dalla rabbia strappò alcuni steli di grano, tenendoli stretti quasi fossero un trofeo.
<<Non ci sai proprio fare con la falce>>
<<non è questo il mio mestiere>>. Si giustificò La Morte.
<< Non senti caldo così, tutto vestito di nero? Qui sei tra amici. Togliti qualcosa …>>
Le mani della ragazza si alzarono veloci a toglierle il cappuccio, senza tuttavia riuscirvi. Una smorfia delusa si disegnò sul viso. Poi allungò la mano per sfiorare quella della morte, dove ancora stringeva le spighe, nel frattempo già avvizzite. Lei si scostò con un movimento brusco.
<<Tutto quello che tocco deve morire.. >> Disse con un certo imbarazzo. La ragazza sorrise.
<<Seguimi so per chi sei venuta, ti ho riconosciuto subito, sei qui per Tommaso vero?>>
<<Come fai a saperlo?>> Domandò sorpresa La Morte.
<<Lo so perché è mio marito quello che vieni a prenderti, è molto malato, ti stiamo aspettando da giorni. Non aver timore, il tuo segreto è ben custodito, e non provo rancore perché me lo porterai via…lo so che sei giusta, anche se non hai cuore, se sei venuta, è per porre fine alle sue sofferenze, solo che..>>
La ragazza sorrise forzatamente, e fece segno di seguirla verso l’altura lungo il sentiero che si perdeva all’infinito.
<<Conosco una scorciatoia per arrivare a casa, giungerai in tempo da Tommaso, stai tranquilla.>>
La Morte si arrampicava col fiatone dietro la ragazza dal passo veloce. Mentre la seguiva, aveva una strana sensazione. Sentiva una specie di tu tun….tu tun.. tu tun Come se qualcuno bussasse dentro di lei. Arrivati in cima alla collina, la ragazza indicò una fattoria poco distante.
<<Quella è casa mia, lì troverai il mio Tommaso. Ho una bicicletta appoggiata a una pianta al limitare del bosco, sei vuoi arrivare prima..sei mai stato in bicicletta?>>
La Morte fece spallucce. Non ricordava. Forse sì. Forse no. Non aveva ben chiara cosa fosse una bicicletta. Si era sempre occupata solo e soltanto di morte. Guardò il sole, il cielo azzurro, le candide nuvole, le cime dei monti lontani, la fattoria. Poi riportò lo sguardo sulla ragazza che si era allontanata, e riprese il cammino per raggiungerla.
<<Ammettilo: Avevi mai visto una giornata come questa? Senti che pace! Che silenzio! Che profumi! Questa è la vita che scorre…. Quella che porterai via a Tommaso. Vibra con le foglie degli alberi e tra i fili d’erba. Vola con gli uccelli e cammina con le mie gambe. Si nutre di sorrisi, carezze e raggi di sole.
Gran brutto mestiere ti sei scelta amica mia, ma io sento che tu non sei cattiva, anche se qui sotto questo tuo velo nero non batte un cuore.
<<Davvero non hai paura di me?>> Domandò incuriosita la morte!
<<Paura della morte? Io so che, se sei venuta per me, nessuna forza potrebbe sconfiggerti e, se sei venuta per un altro, perché dovrei averla? Se ti chiedessi, t’implorassi, di non portare con te chi sei venuta a prendere oggi, mi ascolteresti? No! E allora perché dovrei aver paura? Mettiti comoda e riposa, vado a prenderti qualcosa da bere, prima che tu faccia il tuo dovere.>>
Così dicendo la fece accomodare su una panca all’ombra di un albero, davanti al cortile della fattoria. Ed entrò in casa.
La morte appoggiò la falce all’albero. Sistemò meglio il cappuccio e si sedette sulla panca. Quanti anni erano passati dall’ultima volta che si era fermata in un posto così tranquillo! A contarli, non bastavano tutti i numeri conosciuti, bisognava inventarne di nuovi.
Alzò lo sguardo al cielo. Il sole giocava a nascondino tra le foglie creando magici riflessi. Gli uccellini cantavano svolazzando tra i rami, e ancora quel rumore…tu tun..tu tun..tu tun…
Che davvero quel rumore fosse il suo cuore? Quel rumore proveniente dal dentro? Lei non aveva cuore, solo un ammasso d’ossa, solo così poteva passare attraverso la porta che conduceva all’aldilà… eppure in quella giornata c’era qualcosa di strano! Si era rotto un piccolo ingranaggio, stava provando piacere a essere lì, vivere delle bellezze che la circondavano. Tu tun..tu tun.. tu tun… Si alzò dalla panca, prese la falce si guardò ancora una volta attorno, per imprimersi nella memoria quel luogo che l’aveva insieme confusa e deliziata come non mai… alzò le braccia al cielo, mormorando delle incomprensibili parole…
<<Erongis elled erbenet non oilgov uip eratrop atseuq ativ noc em immaf eranrot aznes id iul.>> Una luce improvvisa e… si dissolse nel nulla!
La ragazza tornò con una brocca d’acqua fresca, ma giunta vicino all’albero, non vedendo La Morte, si guardò disperata attorno, finché il suo sguardo non cadde sulla panca dov’era seduta, e vi trovò adagiati i ciuffi di spighe di grano che aveva strappato la morte nel campo, intrecciati a formare un rudimentale cuore. Alla ragazza cadde la brocca dalle mani tremanti e corse in casa ad abbracciare Tommaso, sicura di trovarlo ad aspettarla, La Morte le aveva fatto un gran regalo, in cambio di nulla, almeno così pensò lei.
Immagine tratta da Pixabay
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