Storie di “Didattica a Distanza” e malessere degli insegnanti: “mia mamma sta male da quando c’è la DaD”

di Vittorio Lodolo D’Oria

Il malessere professionale degli insegnanti è ancora del tutto sconosciuto e, nell’ignoranza collettiva, miete più vittime del dovuto. Raccontarlo attraverso testimonianze significative aiuta almeno a far comprendere che affligge molti insegnanti ma se ne può venire fuori adottando le giuste contromisure. In molti non sanno che l’avvento della DAD ha aggravato ulteriormente la situazione.

Mia madre è insegnante alla scuola dell’infanzia; ha 64 anni e 25 di anzianità. Purtroppo non è molto avvezza alla tecnologia e, da quando è cominciata la DAD, si è trovata sempre più in difficoltà: ha perso fiducia e sembra essere caduta in una profonda fase depressiva. Teme il giudizio altrui, soprattutto di genitori e colleghi, e negli ultimi giorni ha espresso pensieri che ci preoccupano.
Non le nego che, in famiglia, abbiamo sottovalutato la situazione, sino a quando, proprio una settimana fa, si è acuito il problema. Ora è costantemente nel letto, senza la voglia di svolgere alcuna attività. Basti pensare che non vuole nemmeno più parlare e fare videochiamate con gli adorati nipotini. L’altro ieri siamo riusciti (con molta fatica) ad andare dalla dottoressa che ha subito capito la gravità della situazione ed ha prescritto una serie di colloqui psicologici. Tuttavia, proprio ieri, ci siamo rivolti nuovamente alla dottoressa che ci ha reindirizzati a uno psichiatra perché la mamma manifestava anche innumerevoli attacchi di panico in sequenza, difficoltà respiratorie ed ha smesso di mangiare e bere. Mi chiedevo se potesse indicarci la strada da seguire per venirne fuori.

Riflessioni

Molte volte ci siamo domandati se il Covid, con l’introduzione della DAD, abbia complicato ulteriormente la vita professionale dei nostri insegnanti già psicofisicamente usurati. La lettera inviatami da un ragazzo preoccupato per la situazione della sua mamma, maestra alla scuola dell’infanzia, è assai eloquente.
Poiché si tratta di una situazione molto delicata che richiede ulteriori approfondimenti ho subito invitato il figlio dell’insegnante a contattarmi. Nel colloquio sono emersi precedenti episodi in cui la mamma aveva manifestato, già da giovane, un episodio depressivo maggiore, a causa di un insuccesso negli studi. L’anamnesi familiare di entrambi i genitori risultava positiva per la medesima patologia. La scarsa dimestichezza della maestra con la tecnologia e l’irruzione della DAD per la pandemia fungevano da detonatore per una nuova crisi. Si veniva così verosimilmente a creare una situazione in cui l’insegnante si trovava a rivivere il fallimento di un tempo. Questo determinava il timore del giudizio di colleghi e genitori, con un senso di inadeguatezza e colpa già sperimentati in passato. La risposta della docente non si è fatta attendere e, nel giro di pochi mesi, è precipitata trasformandosi in una chiusura totale. Interrotto ogni contatto col mondo si è chiusa nella propria camera, sdraiata immobile nel letto, completamente isolata e totalmente a digiuno in un clima catatonico di anedonia e depressione. Il rigetto della tecnologia è stato talmente totale e violento che non sorprende il rifiuto di effettuare la “videochiamata” di rito con gli amati nipotini. Cosa fare adesso? La maestra deve essere guidata, supportata e messa in contatto con uno psichiatra che le prescriva un lungo periodo di malattia ma soprattutto le restituisca la voglia di vivere ricorrendo a ogni mezzo a disposizione quali la farmacoterapia e la psicoterapia. Fattori fondamentali sono la paziente vigilanza e l’assidua presenza della famiglia. Alla ripresa del lavoro andrà considerata l’ipotesi di un accertamento medico in CMV per ottenere l’inidoneità all’insegnamento con passaggio ad altre mansioni. Vietato perdere tempo.

“Sono esaurita e me ne vergogno, ma a scuola non si deve sapere”

Sono Maria, una docente della scuola Primaria. Facendo qualche ricerca in rete rispetto allo stato di salute mentale a cui può giungere un insegnante ho trovato la sua pagina facebook. Sto vivendo un periodo bruttissimo non riesco più a svolgere il mio lavoro con serenità, a scuola non riesco più a coinvolgere gli alunni, ho problemi di organizzazione, concentrazione e memoria. Ho chiesto aiuto a una psicologa e poi a una neurologa ma nulla si è risolto, anzi. Il mio problema più grosso è non sapere come affrontare la cosa. Ne ho parlato solo con la mia famiglia ma non in ambito lavorativo perché ho paura di ripercussioni future. Se un insegnante si allontana dal lavoro per disturbi mentali come potrà mai essere la sua riammissione? Sono disperata, ogni giorno rientro da scuola sempre più afflitta, la notte dormo pochissimo e sono sempre di cattivo umore, spero di cuore che lei mi possa dare un parere esperto consigliandomi i passi da fare.

Riflessioni

Questa insegnante descrive bene la sintomatologia del suo malessere (mancanza di serenità, disorganizzazione, scarsa memoria e poca concentrazione, afflizione, insonnia, timore del giudizio dei colleghi) ma non fornisce dati essenziali quali età e anzianità di servizio. Ci troviamo verosimilmente di fronte al classico caso di burnout sconosciuto all’insegnante stessa. Fin qui tutto ordinario, ma ci sono due particolari che potrebbero costituire ostacolo al recupero della piena funzionalità della docente. Il burnout è infatti un problema professionale, ma Maria dice che “ne ho parlato solo con la mia famiglia ma non in ambito lavorativo perché ho paura di ripercussioni future”. La sua ossessione è spiegata meglio nel pensiero successivo: “Se un insegnante si allontana dal lavoro per disturbi mentali come potrà mai essere la sua riammissione?”. Il pensiero centrale non è teso a cercare di comprendere cosa sta succedendo e come uscirne, ma è incentrato sul “cosa penseranno di me”. Ecco che Maria strutturerà la sua reazione sulla dissimulazione, nascondendo caparbiamente, a tutti, la sua condizione di usura psichica. Proviamo invece a pensare se Maria fosse a conoscenza del fatto che molti colleghi/e sono nella sua condizione, che le malattie professionali degli insegnanti sono in larghissima parte psichiatriche, che queste aumentano di numero e d’intensità con l’anzianità di servizio e, soprattutto, che la strategia di adattamento di gran lunga più efficace è la condivisione delle difficoltà coi colleghi. Probabilmente Maria abbandonerebbe la dissimulazione e tornerebbe ad affrontare la vita reale con le sue gioie e i suoi dolori. Ho invitato così Maria a leggere innanzitutto il mio testo (“Insegnanti, salute negata e verità nascoste”) che riporta 100 storie di burnout dallo stesso finale. Le molte testimonianze potrebbero indurla a comprendere i consigli che le darò in seconda battuta. Solo così capirà la regola che “chi dissimula soccombe”.

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