DI GINO MORABITO
Dietro l’immagine esteriore, patinata, che i personaggi pubblici sono spesso costretti a recitare, la vita del cantante di Latina attraverso le sue parole.
Alcolista, gay, bulimico, depresso, famoso, Tiziano Ferro è umanamente uomo, sopra ogni cosa. Il ritratto della persona dietro i riflettori, un dipinto estremamente realistico dove vizi e virtù s’intersecano, rivelandoci gli alti e bassi di uno degli artisti più rappresentativi del terzo millennio.
Non si è fatto mancare niente. Compresi i miracoli, attraverso l’esperienza degli altri. “Luci piccolissime in fondo al tunnel” che hanno dato forma al percorso umano e professionale di una popstar nata ai bordi di periferia.
«Se faccio l’artista e il cantante, se scrivo canzoni, è perché ho avuto grandi ispiratori che, quando mi guardavo intorno cercando la strada, me l’hanno insegnata. Cambiare la vita a un ragazzo con la mia provenienza significa cambiargli la percezione della realtà.»
Canzoni che hanno del miracoloso, in grado di ribaltare la nostra visione del mondo. Testimonianze significative di un ingente patrimonio culturale a cui Tiziano Ferro attinge con doveroso rispetto, in un’interpretazione fresca e personale, con qualche finezza stilistica a sottolineare il suo gusto musicale.
«Ho affrontato queste canzoni senza il timore di toccare i mostri sacri. Dico sempre che vanno avvicinate come musica classica, come un tenore o un baritono o un direttore d’orchestra affrontano Verdi: devi attenerti al libretto, aggiungere la tua voce a una cosa già scritta molto bene. Non ho mai sposato il rifacimento stravolgente di una canzone. Certo, gli arrangiamenti sono nuovi, fatti con una strumentazione moderna, nella filosofia dell’autore originale, rispettandone il messaggio.»
Ad esempio in E ti vengo a cercare si ripercorre la stessa direzione che Battiato aveva già seguito, quella della ricerca elettronica, ma con i mezzi attuali.
«Ho sentito il bisogno di rendere omaggio a Battiato in questo album che fotografa i miracoli che ho ricevuto dall’esterno, dal mio fare “esperienza degli altri” appunto, cantando questa sua canzone che sento appartenere al mio DNA, perché parla di spiritualità e del rapporto con Dio. Solo Franco avrebbe potuto scrivere una canzone ancora così attuale, dopo oltre trent’anni.»
Una frase come “Questo secolo oramai alla fine, saturo di parassiti senza dignità, mi spinge solo ad essere migliore con più volontà” troverebbe senso sempre, sicuramente lo trova in questo momento storico.
«Non devo dire nulla di Franco Battiato che non si sappia già, è uno degli autori più moderni al mondo, ha sempre fatto della musica italiana qualche cosa di nuovo. Per me è una colonna portante della mia vita: ho avuto il privilegio di conoscerlo e collaborare con lui per il disco Alla mia età, scrivendo e registrando insieme Il tempo stesso. Ma il vero miracolo è avvenuto nella mia primissima infanzia, quando le sue canzoni complesse ma così empatiche mi hanno protetto e salvato dalle paure in un momento molto fragile.»
Gli stravolgimenti di una vita distrutta dai commenti, l’esistenza di chi nasce con un DNA da impopolare e se lo tiene.
«Non sono mai stato il primo della classe. Ero anonimo, non bello, per niente atletico, anzi grasso, timido. I ragazzi mi chiamavano ciccione, femminuccia, sfigato. Aspettavo che qualcuno intervenisse per difendermi, ma non succedeva mai. Vivevo perennemente frustrato, incazzato, umiliato. Poi ho cantato per la prima volta e la musica è diventata il canale per esprimermi in un mondo nel quale non mi riconoscevo.»
A vent’anni ha tutte le caratteristiche vincenti del teen idol: bello, magro, sorriso ammaliante, voce da paura. Cresce il successo e proporzionalmente anche la voglia di uscire da una gabbia in cui l’hanno imprigionato gli altri, o si è rinchiuso lui stesso. Poi a trenta racconta di essere omosessuale.
«Si parlava di me come gay e non andava bene. Mi gelo perché il problema non era più mio, solo mio. Ma decido di non mentire. Ho fatto coming out perché vivevo una vita in completa negazione, in una società che non accettava chi ero, e io non accettavo me stesso.»
Oggi, a quaranta, la popstar acclamata, quella che tutti mettono su un piedistallo, decide di scolpire la sua storia nel film-documentario Ferro. Seduto sulla poltrona mediatica dello psicologo, si mostra, come mai nessuno prima, nel lato privato, più intimo, a tratti oscuro, tormentato, inquieto.
«La verità mi ha reso libero. L’onestà e la sincerità mi hanno avvicinato ancora di più alle persone.»
Quando racconti una storia può creare controversie o essere abbracciata, può piacere o meno, ma nessuno può cambiarla: esiste, è lì ed è tua, forte della verità.
«Ho sempre pensato che dietro ogni storia di dolore si nascondessero il privilegio e il dovere morale di poter aiutare qualcun altro. La mia storia me lo insegna e ogni volta che ho consegnato alla gente le mie cicatrici, si sono sempre trasformate in soluzioni.»
Eppure, dopo quindici milioni di dischi venduti, Tiziano dubita ancora di sé e del suo talento. Gli succede sempre quando entra in uno stadio, pensa sia la prima e l’ultima volta.
«Guardo lo stadio e mi dico: goditela perché potrebbe non succedere di nuovo.»
Goditela, Tiziano, continua a celebrare il tuo sogno. Accetta miracoli e credi nella felicità. Quei momenti intensi e fugaci di pura felicità che le canzoni possono generare.
«Quando il mondo mi ha chiuso fuori ho sempre trovato una porta: la musica. Vi auguro lo stesso.»
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