UN PROGETTO SBAGLIATO PER LA MONTAGNA DI ROMA

DI FABIO BORLENGHI

L’Italia è il paese più bello del mondo? Io non credo. Bello lo è certamente almeno fin dove certi comitati di affare non sono riusciti ad arrivare. Vi ricordate la puntata di Porta a porta col Cavaliere davanti alla lavagnetta piena di magnifici progetti per il rilancio del paese e Vespa, religiosamente ossequioso, che gli teneva banco auspicando un secondo miracolo italiano?

Beh, il tanto incensato miracolo italiano, avvenuto nella prima metà degli anni ’60 nel secolo scorso, non è stato solo un salto in avanti nell’economia del nostro paese e nella vita ordinaria della maggior parte degli italiani, saziati con utilitarie, televisori in bianco e nero, elettrodomestici vari e vacanza al mare, ma anche l’espansione caotica delle città verso la campagna con la realizzazione di periferie dormitorio, la costruzione d’inutili strade di penetrazione in ambienti montani, la proliferazione di frazioni abitate ovunque spesso denominate “scalo” o “marina di” con riferimento al paese di origine arroccato su un colle e ancora bello da guardare ma con quella pipinara di case e casette là sotto nella piana dallo stile incerto quando non orribile, con buona pace del consumo del suolo.

Il grande Antonio Cederna, fra i fondatori di Italia Nostra, aveva suonato l’allarme per tempo avvertendo il grave pericolo nel quale incorrevano i valori storico-naturali del nostro paese minacciati dalla speculazione selvaggia di varie consorterie d’affari, a discapito irreversibile dei centri storici, del paesaggio e degli ambienti naturali.
Nel tempo la situazione non è certo migliorata, semmai si è registrata una certa tregua negli anni (’80 e ’90) grazie all’istituzione di molte aree protette (parchi e riserve naturali) sotto l’egida della legge 394 del 1991. Ma si sa, le tregue per definizione durano poco e ogni tanto, puntuali, arrivano sul territorio progetti choc come per esempio il terzo progetto (i primi due già bocciati in sede regionale) per il rilancio della stazione sciistica montana del Terminillo nel Lazio (Rieti).

Si tratta di un progetto faraonico che prevede l’ampliamento del numero di piste di discesa dalle sei attuali alle diciassette future e già questo fa capire di che musica si tratta. L’assetto attuale degli impianti sciistici del Terminillo è costituito da due stazioni principali. La prima, voluta da Mussolini intorno alla metà degli anni ’30 perché fosse “la montagna di Roma”, così come Ostia era “la spiaggia di Roma”, è posta sul versante meridionale del massiccio, accessibile da Rieti, avendo come sede di partenza la località Pian de’ Valli a 1.620 m.

La seconda, accessibile da Leonessa e di origini storiche successive alla prima, occupa il versante nord della montagna e parte dalla località Campo Stella (1.100 m) nella parte alta della bellissima Vallonina. Un cartello di associazioni, in pratica le stesse che si erano opposte ai due precedenti progetti, ha presentato alla regione Lazio un documento contenente le osservazioni previste dalla procedura amministrativa e riportanti gli effetti negativi sull’ambiente naturale nonché i dubbi sulla sostenibilità economica del progetto.

Nel progetto è previsto infatti l’abbattimento di diciassette ettari di faggeta secolare per far posto a sette chilometri di nuove piste all’interno di zone protette SIC e ZPS della Rete Natura 2000. I nuovi impianti, previsti a quote inferiori ai 1.900 m, per l’ormai cronica mancanza di neve, non avranno alcuna possibilità di essere redditizi, costituendo di fatto uno spreco di denaro pubblico. Lo stesso escamotage dei previsti sistemi d’innevamento artificiale, oltre a essere costosissimi (fino a otto milioni di euro per garantire trenta centimetri di neve per stagione nell’80% delle piste), cozzerà contro la scarsezza d’acqua dell’intero comprensorio montano, lamentata da anni dai vari comuni limitrofi.

Nell’arco alpino si cominciano a registrare le prime chiusure d’impianti sciistici, prime e, probabilmente, non ultime vittime del riscaldamento globale. Sorge allora spontanea la domanda: perché investire circa cinquanta milioni di euro, a partecipazione pubblica/privata, in un comparto senza futuro? Gli stessi autori del business plan hanno declinato, nero su bianco.., la loro responsabilità sul successo dell’intero progetto, ovvero il pay back dell’investimento.

A settembre la regione Lazio si pronuncerà sulla fattibilità del progetto e speriamo che la tanto inflazionata ricerca di sviluppo economico, che tanto pervade i salotti della politica italiana (spesso più pollai che salotti..), non faccia ulteriori danni a questo nostro paese che di tutto ha bisogno tranne che di progetti sbagliati.


(foto di Giampiero Cammerini)

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