A proposito di Lino Ventura, un duro sentimentale del cinema

DI GIOVANNI BOGANI

 

 

Un gigante. Un duro. Ma anche un sentimentale, uno capace di sciogliersi in pianto per amore, uno capace di impazzire per amore. Uno capace di rischiare la morte, per amore.

Lino Ventura è stato il “duro” per eccellenza del cinema francese, e anche di quello italiano. Protagonista di tante storie di criminali, di marginali, di balordi.

Lino Ventura, che in ogni espressione della sua faccia di pietra faceva scorrere un velo di malinconia. Per i francesi, è nell’Olimpo dei più grandi, ha dato corpo, muscoli, carne e sostanza al “polar”, al cinema poliziesco. Nel cinema italiano, ha lavorato con De Sica, con Emmer, con Francesco Rosi. Brusco, ruvido, amaro, disilluso: questa la sua maschera.

Ma adesso, scopriamo un lato oscuro, mai visto di Lino Ventura. Un animo appassionato, fragile. Quello di un uomo con il coraggio di mostrare le sue emozioni, e anche le sue debolezze.

Un uomo capace di scrivere trecento lettere d’amore, quasi una al giorno, mentre la guerra si stava trascinando via, fra milioni di vite, anche le loro.

Scopriamo tutto questo in un libro, “Attends-moi, mon amour” – “Amore mio, aspettami” – che ha scritto sua figlia Clélia, insieme al proprio figlio Léon, ventisette anni, attore come il nonno. Un libro che racconta la storia di quelle trecento lettere. Una storia che nessun film ha mai raccontato.

Lino era nato nel 1919, in Francia era arrivato piccolissimo, a sette anni, insieme alla mamma. Andavano a raggiungere il padre, che faceva lì il rappresentante di commercio. Invece, quando arrivano, del padre non c’è traccia. Saranno soli, emigranti senza un soldo e senza gloria, poveri “macaronì”.

Lino non può studiare, a nove anni fa il fattorino, poi il meccanico, il portiere di notte. A quindici anni si spacca i muscoli con la lotta greco-romana, diventerà un piccolo campione. A sedici è ragazzo di bottega alla CIT, la compagnia italiana del turismo a Parigi, quando entra nell’agenzia una ragazza. È un colpo di fulmine.

È il 1936, Lino le fa la corte, s’innamorano, la famiglia borghese e conservatrice di lei non vuole saperne di quel giovane sgraziato, povero e, per di più, italiano. Ma Lino insiste, i due si innamorano. Ma c’è qualcosa di più potente dei genitori di lei, a scombinare i loro piani.

La guerra. La Francia è occupata dai nazisti, Lino – ancora cittadino italiano – è chiamato alle armi, deve raggiungere le truppe di Mussolini. All’inizio del 1942 sposa Odette, ma non c’è scampo: si deve arruolare. A combattere, magari morire, per un paese che in pratica non ha mai conosciuto.

Il 19 aprile 1942 è in una caserma vicino a Gorizia, forse a Gradisca d’Isonzo, assegnato al 24esimo reggimento di fanteria, con compiti di presidio verso il territorio jugoslavo. “Amore mio, certi momenti mi prendo la testa fra le mani e credo di diventare pazzo”, scrive a Odette. E di lettere simili, Lino ne scriverà altre trecento.

Erano tutte in uno scatolone. Clélia ha aperto, insieme al figlio, lo scatolone. E ha colto la sensibilità esasperata di un campione sportivo, un lottatore che muore d’amore, che piange di sgomento. “Era un uomo tenero, più femminile di quanto sembrasse, un uomo che filmava fiori e uccellini con la sua cinepresa super8, quando ero bambina”, ricorda Clélia.

Da una lettera all’altra, scopriamo un Ventura che piomba nella depressione. 15 dicembre 1942: “Amore, soffro, e vorrei tanto piangere. Vorrei che mia madre fosse qui, e piangere fra le sue braccia”.

Scopriamo anche un amante focoso: “Stanotte, amore, ho ancora una volta sognato di noi due. Il sogno più bello, da quando ci siamo separati. Non posso spiegarti qui: anche la carta arrossirebbe!”.

Il soldato Ventura non pensa affatto al cinema, che per lui è un mondo inimmaginabile, allora. Ma si fa molti film aspettando risposte che non arrivano. Il 9 ottobre 1942 crolla: “Faccio tutto il possibile per non lasciarmi andare, ma a volte mi è impossibile”, scrive.

Si batte, per mesi, per avere una licenza, per poter tornare in Francia. “Da una lettera all’altra, ho seguito il suo calvario, soffrivo per lui”, confessa Clélia.

L’11 maggio 1943 ottiene la licenza, e riabbraccia Odette a Parigi, una Parigi ancora sotto il controllo nazista. Il giorno stesso, prende la sua decisione: diserterà. Se verrà preso durante un controllo, sarà arrestato e fucilato. Corre il rischio. Si fa fare documenti falsi, diventa un brètone, Lucien Vernot. Odette verrà convocata dalla Gestapo: “Dov’è suo marito?”.

Tiene duro, giura che suo marito è scomparso, che non ne sa nulla. Lino si nasconde in un piccolo villaggio. Ha rischiato il plotone di esecuzione per amore. La sua diserzione non sarà considerata una macchia neppure dallo Stato italiano, che anni dopo gli conferirà la Legion d’onore.

Dopo la guerra, Ventura acquisterà la casa nella quale si era nascosto, nel piccolo villaggio dell’Angiò. Sarà il simbolo della sua libertà. E vivrà con Odette e con i loro quattro figli – una, Linda, vittima di una emorragia cerebrale alla nascita, e nel cui nome Lino darà vita ad una fondazione per bambini con handicap.

La storia di una passione infinita, folle. Con due ombre. Una: fra le innumerevoli lettere di lui, il cui testo compare nel libro, non ce n’è neppure una di lei, di Odette. Le lettere che lei firmava con un bacio stampato, con il rossetto rosso fuoco, sul foglio. “Sono state distrutte”, rivela Clélia a “Paris-Match”. E non vuole approfondire oltre “una questione delicata”, dice.

La seconda ombra forse è legata alla prima. L’uomo che ha amato tantissimo Odette, che le ha scritto trecento lettere in un anno tragico di guerra, ha amato anche altre donne. Una, in particolare. Yanou Collart, una celebre addetta stampa di attori e registi francesi.

Si incontrano nel gennaio 1972 a Roma, ed è un altro colpo di fulmine. La relazione durerà dieci anni, come rivela la stessa Collart nel libro “Les étoiles de ma vie”, uscito nel 2019.

Un amore divorante. L’attore le scrive “Ti amo, come non ho amato mai nessuno. Occupi i miei pensieri giorno e notte, e faccio questo sogno folle di vivere con te”. “Decisi io di mettere fine alla nostra storia”, dice la Collart, “perché lui non si sarebbe mai deciso”. L’attore le scrive: “Il giorno in cui non sarai più nella mia vita, la luce per me si spegnerà”. Altre lettere, altre tempeste.

L’ultima la scrisse Odette. Non una lettera, ma un biglietto lasciato sul parabrezza dell’auto di lui, parcheggiata sotto casa dell’amante. Poche righe in cui minacciava di uccidersi, e di portarsi via con sé nella morte anche Linda, la figlia fragile e tanto amata.

È tutta una storia di lettere e di biglietti, la vita di Lino Ventura, “macaronì” esuberante, innamorato, turbinoso. Quella volta Ventura, fuori di sé, strappò il biglietto in mille pezzi.

Immagini tratte dal web

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