C’è da tornare a vivere!

DI GIOVANNI BOGANI

Che cosa chiedo?

Non lo so più.

Vorrei un paese in cui non si insulta la prima vaccinata d’Italia, che peraltro da mesi aiuta i pazienti di covid col suo lavoro.

Vorrei un paese non di bestie e di sputi, ma ogni cosa, ogni cosa provoca sputi, scariche di merda da ogni tastiera, e non capisco se sono cazzate scritte in malafede o pensate, e non so cosa sia peggio.

So che dai tempi di Cristo non è cambiato molto, ogni parola viene messa in croce, ogni persona può essere messa in croce, specialmente quando dice cose giuste.

Gente che parla di tutto, con disprezzo di chiunque. Gente che crede di sapere tutto. Questo immenso turbinio di parole che sono i social, miliardi e miliardi di parole, che ognuno di noi ne scorge la miliardesima parte.

Parole che fanno male, parole scritte per ferire, parole che circolano come i virus che hanno reso maledetto questo spicchio di esistenza del genere umano.

Dovremmo essere grati di essere usciti incolumi, se lo siamo, da questo anno, da questo bagno di mesi nello sgomento e nella solitudine.

Dovremmo essere felici di esserci ancora, e forse per una volta potremmo provare a essere migliori. Ma proprio non ce la facciamo. Mi ci metto anch’io, ovvio.

L’anno scorso andavo nelle biblioteche per vedere un po’ di gente, i primi giorni dell’anno. Poi ho incontrato un amore, una specie di amore, credevo fosse amore, e comunque le sono grato perché mi ha salvato la vita.

Buon anno a Mirko che fa di tutto per aiutare i disabili che devono andare a fare le cure in ospedale ogni giorno.

Mirko che organizza un mercatino di libri che gli hanno impedito di fare, una delle piccole cose ingiuste che succedono, e nessuno se ne accorge: lo faceva da anni, cinquanta centesimi per ogni libro, e tanti dei libri che ho adesso in casa sono venuti a colpi di cinquanta centesimi, e se io sono più grande, oggi, se so qualche cosa di più, lo devo anche a lui, al suo lavoro ostinato e prezioso, spazzato via perché in alto non vogliono quel mercatino troppo semplice, troppo anarchico, il cuore si scioglie sì, ma quando lo dicono loro, e con i soldi che devono andare in tasca a chi dicono loro.

La sensazione è che quest’anno ci sia stato rubato, nella migliore delle ipotesi. È che ci è andata bene, se di quest’anno siamo riusciti a vederne la fine.

Potremmo cercare di trovare, negli angoli dei giorni che abbiamo passato, qualcosa di buono che abbiamo fatto, qualche orticello che siamo riusciti a coltivare e a difendere dall’alluvione dello sgomento.

Una piccola cosa buona, come direbbe Raymond Carver. Possiamo trovarlo nelle persone con cui abbiamo parlato al telefono, nelle passeggiate che abbiamo fatto, scoprendo a piedi posti che non immaginavamo. Magari le stesse strade che facevamo sempre, ma sembravano nuove, percorse a piedi, in una primavera che, comunque, se ne fregava del covid, e faceva esplodere i suoi colori.

Io, nel mio piccolo, ho trovato una piccola cosa buona in un mucchio di parole che ho battuto sulla tastiera di questo computer. E che mi hanno fatto sentire meno solo.

Ne è venuto fuori un libro, il libro che forse non sarei riuscito a scrivere, preso dalla frenesia della corsa continua del tempo “normale”, quello che vivevo fino al febbraio scorso. E una piccola – anzi, una grande – cosa buona l’ho trovata nelle parole di chi ha letto quelle parole.

Non cambierà tutto di colpo, domani. E allora, che cosa augurarci?

Che si possa provare a riscoprire la sostanza di tutto, e non polemizzare per le cazzate.

Che si impari a goderci le cose, anche quelle minuscole. E che si smetta di attaccare tutto e tutti, con la gioia di dare all’altro del coglione.

Non siamo diventati migliori, questo lo abbiamo capito. I politici che dimostrano in ogni istante di pensare alla loro fetta di potere e non a quello che è ragionevole, giusto, civile ne sono l’esempio più chiaro.

Ma anche tutti gli “uomini qualunque” che incazzatissimi parlano sempre e solo di soldi, soldi, soldi, dimenticando i morti non sono un fantastico esempio di umanità.

È morto, quest’anno, un italiano su mille. Su mille italiani che conosciamo, uno è morto di covid.

Eppure abbiamo visto tutti la gente comportarsi come se niente fosse, nei parchi e nelle piazze, abbiamo visto i ragazzi a gruppi senza mascherina, perché a loro questo problema sembra non tocchi per niente.

E abbiamo visto la gente fregarsene della mascherina, non portarla, portarla come cazzo gli pare, togliersela per fumare la sigarettina, per fare la telefonatina, per stare a chiacchierare fuori dal bar dell’aperitivo.

E adesso, milioni di italiani che non vogliono fare il vaccino, mettendo a rischio la vita propria e quella degli altri. Perché questo è. Questo significa. E chi non lo vuole fare – minaccia la vita altrui.

Abbiamo capito che siamo diventati tutti più soli. Ma quelli che erano soli già da prima, sono diventati solissimi.

È stato un immenso trattenere il respiro collettivo, un aspettare una luce che abbiamo creduto di vedere, questa estate, e invece poi è venuto di nuovo il buio. Adesso siamo tutti stanchi, tutti soli. E tutti aspettiamo una primavera.

Forza, a tutti. C’è da tornare a vivere, prima o poi, e speriamo di farlo tutti insieme. E magari, chissà, sarà bellissimo.

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