Chiacchierata natalizia con Giovanni Veronesi

DI GIOVANNI BOGANI

Giovanni Veronesi è uno dei pochi capaci di rimanere ragazzi, anche all’età che io inseguo, appena di qualche metro più indietro.

E’ capace di fare film sgangherati, folli, che ti fanno anche preoccupare per la sua salute mentale. E invece, alla fine ha ragione lui, e la gente lo segue, si diverte, e torna bambina con le sue invenzioni.

Qui sotto la nostra chiacchierata natalizia.

Ha tenuto un milione di spettatori incollati alla tv, a sentire Pierfrancesco Favino esprimersi in “franscese”, sussiegoso e comicissimo, e a tirar di spada.

Un milione di spettatori incollati davanti alla tv: ed era, in realtà, una prima cinematografica. La prima di “Tutti per 1 – 1 per tutti”, il film in cui Giovanni Veronesi torna a raccontare, a modo suo, i Moschettieri di Dumas.

È stato il miglior film di Natale di sempre su Sky, dove da oggi è a disposizione per ogni abbonato, indifferentemente dall’offerta scelta.

Grande soddisfazione per Giovanni Veronesi, il regista, toscano sanguigno, cinico e divertito nello spirito con cui affronta ogni cosa: il cinema, ma anche i messaggi che affida a Twitter, in cui parla di tutto senza peli sulla lingua. E che se ne va con gran felicità a cavallo, nella sua Maremma, come un cowboy o un buttero.

Cinquantotto anni, riccioli in disordine un tempo biondi, Veronesi ha scritto quasi tutti i film di Francesco Nuti e di Leonardo Pieraccioni, ha diretto “Il barbiere di Rio” e i tre “Manuali d’amore”. Era uscito nel 2018 il suo primo film sui Moschettieri, “La penultima missione”.

Stavolta l’uscita si sposta sul piccolo schermo, ma i risultati sono comunque lusinghieri. Lo raggiungiamo al telefono.

Veronesi, una volta, quando girava “Il mio West”, disse: un produttore mi paga per giocare con i giochi della mia infanzia.

Anche in questo caso accade qualcosa di simile?

“Sì. Con la differenza che questo è il mio film più libero. Mi sono sentito libero di creare situazioni paradossali e grottesche, sempre con lo spirito puro e serissimo del gioco. Io ho sempre preso il gioco molto sul serio: quando morivo, da piccolo, non mi muovevo per nessun motivo al mondo”.

E come i suoi Moschettieri, ha sviluppato una vera e propria passione per l’andare a cavallo. Ha fatto irruzione in sella a un cavallo anche negli studi di Propaganda Live…

“Perché andare a cavallo è un’esperienza sublime. Non è come andare su un’auto, su una nave o su un aereo: sei su un animale che vive, vive insieme a te, in quell’istante, e sente le emozioni.

Senti vibrare le vene, senti la sua carne e il suo respiro: è come essere in collo a qualcuno da piccolo. Ti senti come un marsupiale, un cucciolo di canguro”.

Nella sua carriera ha avuto l’occasione di dirigere star eccezionali. Come David Bowie nel “Mio West”.

Che cosa ricorda della lavorazione con lui?

“Quando lo vidi, David Bowie era vestito con una tuta sportiva: ma non di quelle originali, con tre righe. La sua tuta di righe ne aveva quattro, e certo c’era scritto ‘Addas’ da qualche parte.

Come nelle tute taroccate. Notai quel particolare e, sgomento, mi chiesi: ma non mi avranno mica mandato un sosia?”.

Robert De Niro, almeno, era quello vero?

“No, era vero anche David Bowie. Ma ci parlai poco, ero troppo timido. A De Niro, invece, chiesi di tutto. Dopo il terzo Vodka tonic, rispondeva a tutto. Gli domandai anche chi, secondo lui, era il più bravo: Al Pacino, Dustin Hoffman o lui stesso”.

Che cosa rispose?
“Mi disse: caro Joe Wany, dipende dal personaggio. Se uno è bassino, è più bravo Dustin Hoffman; se è di altezza media, è più bravo Al Pacino; se è uno piuttosto alto, sono più bravo io.

E quando gli chiesi perché avesse accettato di ingrassare venticinque chili per interpretare Jack La Motta in ‘Toro scatenato’, mettendo a rischio la salute, mi rispose: ‘Ma perché altrimenti lo avrebbe fatto Al Pacino!’. Alla quarta vodka, veniva fuori la verità pura”.

Su Twitter scrive commenti molto schietti sull’attualità. Suscitando molti entusiasmi e molte polemiche.
“Ho passato il tempo delle ipocrisie: scrivo quello che penso. E poi, a questa età, ogni cosa che si dice potrebbe essere fra le ultime dieci! Magari questa che dico è la quartultima, che ne so?”.

Dopo “Tutti per 1”, su che cosa è al lavoro?

“Sto scrivendo il nuovo film di Carlo Verdone insieme a lui. Carlo è uno che ha un momento creativo eccezionale: ha finito una serie televisiva, un’autobiografia, ed è partito subito a scrivere il nuovo film.

E ha una autorevolezza che, oggi, quasi nessun italiano ha. Sono quarant’anni che racconta l’Italia agli italiani, facendo sorridere ma senza mentire”.

Chi sono i Moschettieri, per lei?

“C’è da chiedersi chi sono per la gente: D’Artagnan per molti è solo un costume di carnevale, non sanno niente dei romanzi di Dumas. E anche il titolo, ‘Tutti per 1’, che si rifà al motto dei Moschettieri, non lo conoscevano neppure i ragazzi di diciott’anni che nel film interpretano i cadetti.

Pensavano che lo avessi inventato io! Gliel’ho lasciato credere, e sono passato per un genio”.

Da www.quotidiano.net

 

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