Confessione di un migrante

DI GIOVANNI DE LUCIA

 

DIARIO DI UN RITORNO
14 giugno 2015

Un giorno di una prima decade di un novembre antico, conobbi il Fato e con lui presi un caffè, talmente amaro e talmente nero, che pensai: “qualunque cosa possa indicarmi, sarà sempre più dolce del caos che questo momento sta provocando”.

Un orologio con due lancette sottili e taglienti nello scandire vite e un battito ritmato e spietato.
Non so per quale motivo, né per quale ragione, ma il Fato invertì la rotta del mio tempo e mentre quelle lancette giravano frenetiche all’indietro, io mi ritrovai a 36 anni prima.

Mi guardai allo specchio, per cercarmi ragazzo, ma solo i pensieri si riflettevano, io non c’ero più.
Tre passi, una lettera tra le mani, il cuore che copriva i rumori della gente, e poi lei.

Avevo ritrovato la freschezza di un’amore, la freschezza di quell’amore di sempre.
Gli stessi colori, lo stesso sorriso, solo tre piccole rughe, che scomparivano mentre io mi perdevo nell’azzurro dei ricordi.

E da quel novembre che cerco di incontrarlo ancora, per conoscere la mia meta, ma lui non è il Destino è solo il Fato e quando lo invoco appare lei, congiunzione di sogni e di speranze.
È da quel novembre che non ho voglia di cercarmi dentro quello specchio, ma solo di perdermi in quelle due acquamarine, che le illuminano il sorriso.

Il Fato ha vinto il Destino e io ho trovato quel porto da dove non salperò più, sono tornato a casa.

Foto dal web

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