Dare la vita e saperla perdere: i due volti della maternità

di Gianfranco Ricci

Dare la vita e saperla perdere: i due volti della maternità

L’esperienza della maternità è caratterizzata da due movimenti fondamentali: dare la vita e saperla perdere.

Sul primo abbiamo pochi dubbi: è l’aspetto più evidente, chiaro, della maternità; dare la vita, creare una nuova vita è prerogativa di una madre.

Dietro a questo prima aspetto, si profila il mistero del desiderio materno: perché avete un figlio?
“Cosa vuole una madre?” è la domanda che ogni figlio si pone. Perché esisto?
Perché proprio io?
Anche il piccolo nipotino di Freud se lo chiedeva, interrogandosi sulle assenze, per lui misteriose, della madre.
Per Lacan, nell’Edipo freudiano il bambino incontra una “X”, un enigma nel posto del desiderio materno. È una domanda centrale, perché il bambino è il tramite cui questo desiderio può realizzarsi.

Dall’altra, il secondo dono della maternità è sapere lasciar andare il bambino. Saperlo perdere, anche se solo simbolicamente.
È in gioco un vero e proprio movimento di sottrazione, di separazione e di lutto: il bambino, per sempre figlio, diviene “altro” da ciò che la madre vuole da lui.
Da oggetto, tramite per la realizzazione del proprio desiderio, il bambino diviene soggetto autonomo, orientato dal proprio desiderio e non più da quello materno.

Saper perdere un figlio è la più grande prova per una madre. Maria, così come ci è raccontata dai Vangeli, ne è un esempio estremo.
Nella “Pietà” di Michelangelo, Maria è ritratta mentre accoglie, ancora una volta, il corpo, ormai esanime, del Figlio. Una madre che nulla ha potuto sulla sorte del figlio, martire sulla croce.

L’ultimo abbraccio, fantasma di un’unione impossibile, prima della separazione definitiva.

Per approfondire:
-Freud, Al di là del principio del piacere;
-Lacan, Seminario V

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