Donne e viaggio

DI MARINA AGOSTINACCHIO

Viaggiare indica uno spostamento fisico da uno spazio a un altro. Ma potrebbe anche indicare uno spostamento mentale che può avvenire attraverso la lettura, il silenzio, la meditazione, l’abbandono ad un nulla, un vuoto di pensiero.

Viaggio Può essere “vacanza”, nel senso etimologico di assenza, o avventura, iniziazione mediante un attraversamento, viaggio inteso come crisi, decisione, viaggio come interruzione, attraversamento esistenziale.

Ma il viaggio e il viaggiare potrebbe implicare anche uno spalancarsi all’umanità e all’ambiente che ci attorniano.
Nell’antichità è l’uomo il prescelto al viaggio; l’eroe alla ricerca di sé che si lascia all’incanto delle sirene.

C’è un uomo che lascia la casa, perché lo richiede la patria, una guerra in atto.
Di Ulisse sappiamo già la storia cantata da Omero; l’eroe lascia nella sua reggia la moglie Penelope per combattere la guerra contro Troia.

Ci sono racconti che narrano di poeti (guerrieri imperatori, ministri, generali) che tessono una corrispondenza con le loro mogli, amanti, donne ripudiate, spesso lasciate per andare a combattere.

E’ quello che possiamo leggere in un libro Einaudi dal titolo Liriche cinesi (1753 a.C. – 1278 d.C.).
Così, pure, nel corso della storia abbiamo conosciuto Alessandro III il Macedone, re di Macedonia che intraprese con il suo esercito un lungo viaggio di conquista, dall’Asia Minore all’ India, Marco Polo che visitò i paesi dell’Estremo Oriente, in veste di mercante e di esploratore, il buddista del settimo secolo Xuanzang che attraversò a piedi la Cina, l’Afganistan, il Pakistan e l’India, Charles Darwin che per via dei suoi studi navigò intorno al mondo dal Sud America, alle Galapagos, da Tahiti all’Australia, dalle Mauritius al Sudafrica…

Tuttavia a esplorare bene la storia scopriamo viaggiatrici donne come la scrittrice vissuta tra 1800 e 1900, Isabella Bird che viaggiò oltreoceano, poi in Scozia, nella Hawaii, nel Nord America in Nord Africa e in Asia.

E chi sa della britannica Freya Stark, nata alla fine del 1800, una delle prime donne ad esplorare il deserto arabico? O della politica, archeologa, viaggiatrice, agente segreto britannica Gertrude Bell? Questa donna viaggiò tra Arabia e Mesopotamia diverse volte nella sua vita.

Potremmo continuare la lista delle donne viaggiatrici e per motivi e scopi diversi con la belga Alexandra David-Néel che a 40 anni intraprese un viaggio a piedi in Tibet, Lady Hester Stanhope che compì viaggi in medio Oriente, Nellie Bly, giornalista investigativa che leggo “ faceva le proprie inchieste in incognito.

Fu viaggiatrice e corrispondente estera per diverse testate, per poi diventare la prima persona a compiere, nel 1890, la circumnavigazione della Terra in settantadue giorni, raggiungendo un record assoluto.

Fu anche corrispondente di guerra e si batté insieme alle suffragette per l’emancipazione femminile”.

Di Nelly Bly c’è un curioso aneddoto: “quando decise di fare il giro del mondo in 80 giorni e ne parlò con il suo capo, le fu detto, per tutta risposta, che nessuna donna avrebbe potuto compiere questa impresa: sarebbe partita con troppi bagagli. Nelly Bly si fece allora cucire un unico abito che avrebbe indossato per i successivi tre mesi.

Porto con sé anche un bustino di seta, due cappelli, tre velette, un paio di pantofole e un vasetto di crema idratante che in seguito rimpiangerà di aver portato.

Quando a bordo di una nave in Egitto incontra un giovane che le confida di aver sempre represso il desiderio di innamorarsi perché non si aspettava di incontrare una donna che viaggiasse senza un gran numero di bagagli, Nelly si accorge che il giovane si cambia tre volte al giorno.

Gli domanda allora quanti bauli avesse con sé. La risposta fu: diciannove”.
Ma chi se li ricorda o li conosceva i nomi di queste donne? Lo stereotipo del viaggio al maschile ha avuto una presa maggiore nella memoria collettiva rispetto al viaggio femminile.

In un saggio volto alla scoperta di un libro della giornalista e femminista francese Lucie Azema (“Donne in viaggio. Storie e itinerari di emancipazione” editore Tlon)), alcuni riferimenti al viaggio femminile mi offrono lo spunto per alcune considerazioni.

“Il viaggio diventa il luogo ideale per smontare, uno a uno, tutti gli stereotipi di genere”, dice la saggista.
Viaggiare è stata una conquista semplice e naturale, appannaggio degli uomini esploratori del mondo, nonché spesso avventurieri, liberi di scrollarsi di dosso doveri siano stati quelli di mariti, compagni, padri, si è creato lo stereotipo del “Vabbè, però lui è uomo, può farlo, il viaggio è cosa connaturata in lui fino dalla nascita”.

Occupare uno spazio che noi donne “avremmo preso facilmente se fossimo stati uomini”: da qui l’approccio femminista di un libro che può anche essere letto come un manuale di autodeterminazione.

Per noi donne il viaggio ha rappresentato per lungo tempo la meta desiderata, dibattuta, spesso difficile da raggiungere: la libertà.
Un tempo, se le donne volevano azzardarsi a compiere un viaggio per mare dovevano travestirsi da uomini!.

E’solo nel’anno 2000 che in Italia le donne vengano accettate nella Marina Militare. Per affrontare scelte insolite, bisogna che la donna si mostri all’altezza di una capacità virile avventurosa.

Per secoli le esplorazioni per mare sono state rese impraticabili alle donne, definite “persone non gradite” a bordo.

C’è un altro stereotipo del viaggio da considerare: viaggio come simbolo della provocazione erotica quando i paesi deputati al viaggio sono abitati da donne dalla rinomata bellezza indigena che richiama il luogo comune del mito di Circe o Calipso.

“La donna – leggo – fa parte del bottino, è moneta di scambio per viaggiatori e pirati. Del resto, quando si parla di viaggi, le donne avevano fino a qualche tempo fa un ruolo decorativo”.

Nel caso delle compagnie aeree, le Hostess, le assistenti di volo, devono rispecchiare i canoni estetici designati a soddisfare gli occhi e gli sfizi dei viaggiatori.

Oltre alle qualità fisiche contemplate nei regolamenti alle assistenti di volo (“avere un “naso largo” era vietato, scrive Gloria Steinen in My life on the road”), le hostess dell’Air France fino al 1968 non potevano sposarsi altrimenti sarebbero state licenziate e quelle della Qatar Airways fino al 2015.

La Azema ci dice ancora che i racconti di viaggio e la letteratura coloniale hanno preparato il terreno alla creazione dell’idea di una esaltazione fanatica e quasi idolatrica della donna; ciò, di conseguenza, avrebbe stimolato anche maggiormente l’aspetto erotico del luogo da visitare a favore di un incremento di un turismo sessuale.

C’è un aspetto del viaggio femminile che vorrei prendere in considerazione ed è quello della solitudine. Dice la Azema: “La solitudine è socialmente inammissibile per una donna perché implica necessariamente un’assenza, un vuoto da riempire”.

Anni fa ho compiuto un viaggio in inverno, verso una località del sud Italia, da sola, una scelta, la mia, che implicava la consapevolezza del fatto che mi sarei ritrovata sola per tre giorni in un luogo, per quanto ameno, senza nessuno che mi accompagnasse.

Al ritorno fui subissata di domande sul perché di una tale decisione, come se una donna potesse scegliere di essere libera compiendo un viaggio solo perché sola. Viaggiare al femminile spesso implica l’obbligo di portare con sé un carico sovrabbondante di indumenti.

E, a dire il vero, anche nei miei viaggi, l’atto che lo precede nella preparazione della valigia diviene una specie di lotta tra me e me. “Metti e togli” sono azioni che si alternano fino a 24 ore prima dalla partenza. E perché poi?

Non nascondo che vorrei liberarmi dall’ossessione del carico di cose che credo imprescindibili per la mia sopravvivenza in quella parte di terra che mi accoglierà. L’Azema lo chiama “carico estetico”

E cosa dire poi della donna con figli che si accinge a compiere un viaggio?
In passato, la donna con prole che decideva di intraprendere un viaggio doveva rinunciare ai figli.

Veniva, in questi casi, considerata un’avventuriera. Oggi non è più così. Se anche madre, capita che la donna porti con sé la prole ma è vista con sospetto: la sua è reputata una “maternità vagabonda”.

Bisognerebbe smontare i meccanismi mentali del viaggio, affrontare il viaggio con uno spirito di scoperta, liberarsi da richieste precostituite che impongono un inoltrarsi in luoghi pensati come déjà-vu, spazi mentali dove imperano canoni estetici di comportamento.

Infine il viaggio richiede lo sforzo di creare un ponte tra sé e il mondo, un rapporto equilibrato di rispetto in cui nessuno dei due poli sia sovrano e suddito.

La saggista a tal proposito parla di “decolonizzare l’immaginario” .
Vorrei lasciare il lettore con questo pensiero dell’Azema “Nel viaggio cerco il tempo lungo, la sua densità, la sua profondità”.

Come dire che nel viaggio abbiamo l’occasione per scandagliare noi stessi in una dimensione interiore dilatata e benefica.

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