Durante la mia infanzia

DI ORNELLA SUCCO

Negli anni 60, trascorrevamo la villeggiatura estiva in una piccola borgata sopra Rubiana dove, in agosto, si ritrovavano molte famiglie che, come la mia, non avrebbero potuto permettersi un altro tipo di vacanza.

A San Mattia non c’era praticamente nulla se non un gruppo di case, più o meno rustiche, abbarbicate su di un costone della montagna in una posizione davvero stupenda: la vista aperta verso la pianura e la Val di Susa e, tutt’intorno, boschi di castagni ed una vegetazione rigogliosa grazie all’abbondanza di piccoli corsi d’acqua alimentati da alcune sorgenti.

La sola amenità del luogo non bastava però a soddisfare il desiderio di divertirsi dei “giovani”, ovvero di quei ragazzi e di quelle ragazze di età compresa tra i sedici ed i vent’anni obbligati a seguire i genitori nelle due settimane “canoniche” che precedevano e seguivano il Ferragosto.

Così mio fratello, i miei cugini e i loro amici cercavano di sconfiggere la monotonia delle giornate organizzando escursioni a piedi sulle cime circostanti, alternandole a tornei di bocce o a pomeriggi passati ad ascoltare dischi con l’ausilio del giradischi “portatile” di mio fratello ( una fonovaligia Telefunken del peso stimato di qualche kg) che, per l’occasione, veniva posizionato sul davanzale interno di una finestra affacciata su di un minuscolo cortile ritrovo abituale dei ragazzi.

La sera, però, la compagnia dei giovani aveva un unico polo di attrazione ed era il Juke box che si trovava nel bar del ristorante “La Pineta”, ristorante che sorgeva lungo la strada provinciale per il Col del Lys qualche borgata più in basso.

Subito dopo cena i “giovani” si davano appuntamento davanti alla prima casa della borgata e, armati di pile, maglioncini e scarpe da tennis, si avviavano tutti insieme lungo lo stradone per raggiungere il bar.

Le torce elettriche erano d’obbligo perché, per accorciare il tragitto, a metà dello stradone bisognava inforcare un sentiero che tagliava la montagna a mezza costa e permetteva in pochi minuti di raggiungere la meta ma, ovviamente, non c’era illuminazione neppure sullo stradone … figuriamoci sul sentiero.

Io, nata “fuori stagione” undici anni dopo mio fratello e dunque ancora bambina, non ero ovviamente ammessa a queste uscite serali ed ero costretta a rimanere a casa con mamma e papà e tutti i loro amici che mi parevano invero vecchissimi poiché avevano, chi più chi meno, la stessa età dei miei genitori.

Per fortuna mi piaceva leggere e allora mi mettevo su di un vecchio divano sgangherato e davo fondo all’immensa collezione di Topolino che i miei cugini avevano accumulato negli anni.

Un pomeriggio però mia cugina mi propose di accompagnarla a casa di Vera, una delle ragazze del gruppo e, obiettivamente, una delle più carine.

Lo scopo della visita era “decidere insieme cosa indossare per la serata” e a me non pareva vero di essere stata ammessa in quel ristretto circolo per sole ragazze.

Ricordo perfettamente che, quando arrivammo, Vera e sua sorella avevano disposto sui loro letti, in bell’ordine, tutti i più bei capi del loro guardaroba: camicette a pois con il collettino inamidato e camicette modello “Saint-Tropez”, abbottonate dietro e molto corte, tanto che lasciavano addirittura intravedere qualche millimetro di pelle scoperta tra la fine dei pantaloni a vita alta e l’inizio della camicetta.

I pantaloni erano ancora il tipico modello da donna che andava in quegli anni, con la cerniera sul fianco e le pinces sul davanti, inoltre c’erano anche due gonne “a godet” molto ampie, una bianca a grossi pois neri e una a fiori.

Io, naturalmente, non avevo voce in capitolo sulle loro scelte, ma ad ogni vestizione di prova mia cugina aveva l’accortezza di chiedermi se mi piaceva e, lo confesso, a me piaceva tutto anche se trovavo che Vera, con un Saint-Tropez di sangallo bianco, i pantaloni lilla alla pescatora e i capelli biondissimi raccolti in uno chignon alto e gonfio fosse davvero strepitosa, una Brigitte Bardot in miniatura.

Fu proprio in quel momento che lei sembrò accorgersi della mia presenza e mi pose la domanda per la quale, probabilmente, ero stata ammessa in quel circolo ristretto: “ Dimmi un po’, ma pensi che tuo fratello si accorgerebbe di me se stasera mi vestissi così per andare a ballare alla Pineta?”
Mio fratello? Cosa c’entrava mio fratello?

Avevo otto o nove anni ed ero probabilmente un po’ tonta, ma non avevo mai pensato che i giovani andassero a ballare per attirare l’attenzione di persone dell’altro sesso, capii che ero stata invitata per poter riferire a mio fratello che Vera aveva passato mezzo pomeriggio a scegliere come vestirsi al solo scopo di attirare la sua attenzione.

Confesso che ci rimasi male, risposi che non lo sapevo, che secondo me a mio fratello interessava solo giocare a pallone e, a questa mia uscita, tutte e tre risero: “Ah davvero non è interessato anche a Rossana?”
Rossana? La nostra vicina?

Mi stava crollando tutta un’architettura del reale e, senza volerlo, diedi probabilmente a Vera un colpo di grazia: “Beh-dissi- a chi non interessa Rossana? E’ bella, è gentile, è simpatica e viene spesso a trovarci anche quando rientriamo a Torino …”

Mi pare superfluo aggiungere che non venni più invitata a scegliere i vestiti a casa di Vera, ma cominciai ad avere dei sospetti sul motivo per il quale Rossana veniva così sovente a veder giocare mio fratello la domenica pomeriggio.

Immagine tratta dal web

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