Film da vedere (o rivedere): ‘Che ora è’, di Ettore Scola. Con Marcello Mastroianni e Massimo Troisi

di Luca Biscontini

Che ora è di Ettore Scola, è un film di Ettore Scola del 1989 interpretato da Massimo Troisi e Marcello Mastroianni. Prodotto da Mario e Vittorio Cecchi Gori, scritto e sceneggiato da Beatrice Ravaglioli, Ettore Scola e Silvia Scola, con la fotografia di Luciano Tovoli, il montaggio di Raimondo Crociani, le scenografie di Luciano Ricceri, i costumi di Gabriella Pescucci e le musiche di Armando Trovajoli, Che ora è è interpretato da Marcello Mastroianni, Massimo Troisi, Anne Parillaud, Lou Castel.

Il film si aggiudicò la Coppa Volpi  al Festival di Venezia per la migliore interpretazione maschile a Marcello Mastroianni e Massimo Troisi, il Premio Pasinetti per il miglior attore a Massimo Troisi e il Premio OCIC a Ettore Scola.

Trama
Un facoltoso avvocato romano sessantenne passa una giornata a Civitavecchia in compagnia del figlio Michele che sta terminando il servizio militare. Michele, di temperamento chiuso e poco ambizioso, è infastidito dall’invadenza del padre il quale, dal canto suo, è consapevole di essere quasi un estraneo per suo figlio, ma sbaglia gli approcci con lui.

“Scusi, che ora è?”. “Sono le tre, quindici minuti e ventotto secondi”. Con questo siparietto della richiesta dell’ora, due fuoriclasse del cinema italiano, quali furono Marcello Mastroianni e Massimo Troisi, avrebbero potuto andare avanti a oltranza, senza annoiare mai, donando ad ogni nuova modulazione del tormentone una sfumatura diversa, incantando, ipnotizzando, calamitando l’attenzione di uno spettatore a quel punto della narrazione pronto a qualsiasi variazione, anche millimetrica, di tono. La collaborazione artistica tra i due grandi attori era cominciata proprio grazie a Ettore Scola, che li aveva diretti in Splendor (1989), amara presa di coscienza della fine di un’epoca, quella della sala cinematografica, un tempo sede di una ritualità comunitaria, purtroppo fatalmente terminata.

In Che ora è? (1989) Mastroianni e Troisi sono padre e figlio, il loro è un rapporto complicato, dato che si sono frequentati poco in passato, non si conoscono davvero, e l’arrivo improvviso del genitore a Civitavecchia, dove Michele sta svolgendo il servizio militare, costituisce l’occasione per tentare di fare il punto della situazione, di capire se esiste ancora una possibilità di dialogo. Come fa notare lo stesso Scola in una bella intervista, i ruoli nel film sembrano invertiti, laddove il padre è un uomo rampante, godereccio, attratto dal consumo e dai piaceri (anche frivoli) della vita, mentre il figlio è una persona riservata, contenuta, che ama frequentare la biblioteca del paese, oltre che un nebbioso bar a ridosso del porto, bazzicato da umili pescatori che eroicamente resistono alla colonizzazione di una degenerazione antropologica drammaticamente alle porte.

Ciò che interessava Scola era registrare gli effetti di un periodo storico, quello a ridosso degli anni Novanta, sulla dimensione intima di un rapporto difficile e non poche, infatti, sono le allusioni alla storia del paese, alla corruzione dilagante (di lì a poco sarebbe esplosa Tangentopoli), alla diffusione di uno stile di vita tutto incentrato su un aumento esponenziale del tempo dedicato al lavoro, in una forsennata ricerca di un benessere che appariva come la panacea di tutti i mali.

E Michele, rappresentante della nuova generazione (una volta tanto tratteggiata positivamente rispetto alla precedente), si oppone a questo sfrenato ‘discorso capitalista’, non è interessato al successo, al denaro, all’accumulo massivo di compagne, vuole solo essere libero di fermarsi, di interrompere quel movimento frenetico che lo ridurrebbe al ruolo di marionetta. Eppure, al di là delle insormontabili differenze che li separano, c’è un atavico legame di sangue che unisce i due protagonisti, un bene che supera tutte le incomprensioni.

Ma, ebbene, sottolinearlo, Scola non risolve affatto il rapporto con un colpo di spugna, si guarda bene dalla soluzione facile, piuttosto si sofferma sulla problematicità, forse insuperabile, di questa relazione, riuscendo, con un abile lavoro di scrittura, a cogliere le tante sfumature che la caratterizzano.

Il film ha superato con scioltezza l’esame del tempo e a rivederlo provoca non poche riflessioni sullo stato attuale della nostra condizione. Chi siamo? Cosa vogliamo? Dove stiamo andando? Tante sono le domande poste in questa preziosa opera di Scola che a tutt’oggi rimangono senza una definitiva risposta, a dimostrazione del fatto che era state ben formulate. Un film necessario, dunque, entrato di diritto nella storia del nostro cinema.

Luca Biscontini per MondoSpettacolo

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