Gite anni 80/90, tra ricordi e curiosità

DI MARIAESTER GRAZIANO

Delle gite ricordo tre cose: i panini col salame ungherese, i soldi per comprare i ricordini fino al secondo grado parentale, papà che piangeva.
La prima gita fu al museo di San Giuliano a sette anni, che era una stanza vicino al convento a tre chilometri dalla scuola dove ci mettevano le farfalle morte, le mosche morte e i bambini che non erano stati partoriti dentro i barattoli un po’ unti giallini che la maestra diceva guardate hanno già tutte le dita e quasi quasi gli occhietti.

La maestra fuori la scuola era una donna con la tuta e le scarpe da ginnastica diversa dalla maestra vera e propria dentro la scuola con la gonna scozzese e le scarpe marroni col tacchetto paccuto.

A me i morti in barattolo o con le spille avevano fatto diventare tristissima e pure vedere papà con la lacrima un po’ nascosta ma siccome eravamo in gita dovevamo essere felici per forza che mangiavamo il panino sotto il pino e forse ci compravano il fiordifragola con i soldi che avanzavano dall’autista.

La seconda gita era in quinta elementare e andammo lontanissimo, a più di 50 chilometri dalla scuola, al parco nazionale d’Abruzzo e abbiamo visto bestie nei poster in un museo e tantissimo verde in mezzo alla nebbia. Poi abbiamo sentito la lambada a tutto volume per tutto il giorno e ho riportato mezza confezione di Ringo a casa così se volevano li mangiavano mamma papà mia sorella.

I biscotti Ringo erano una situazione molto particolare, proprio da gita.
La terza gita credo fosse alle medie ma io avevo una paura forte di vedere ancora morti e di essere un po’ sfottuta e non mi ricordo nulla tranne che papà piangeva ancora di nascosto e di sicuro il panino col salame.

Alla gita del quinto andammo in Spagna e mi ricordo pure qui qualche morto egiziano dentro le vetrine con molti più gioielli di quelli del mio paese. Mia madre mi mise i soldi per Ogni Evenienza dentro un taschino cucito dentro la canottiera, la valigia equipaggiata stile sopravvivenza nel deserto per un anno.

Se ti perdevi durante le gite in quegli anni eri spacciato, perduto per sempre. Le uniche telefonate furono nelle cabine con la puzza di piedi e moquette verde nella hall dell’hotel o in cabine telefoniche col fiato di vino sul ricevitore.

Pochi secondi che inghiottivano monetine tipo slot machine. Così si recuperava lo stile epistolare e svelto dei nonni: Noi qui tutti bene speriamo lo stesso per voi.
Al ritorno c’erano le briciole nell’autobus e le canzoni a tutto volume, le luci basse con quel poco blu che ci faceva come fiammelle di accendini durante la canzone Quella sua maglietta fina al concerto di Baglioni in TV, con lo stesso stato d’animo.

Delle gite mi ricordo molti morti e papà che si commuoveva e a vederlo di colpo fragile, dentro il riflesso dei finestrini, dava un senso di disagio. Ma ci si doveva divertire perché forse ci comparavano il cornetto coi soldi avanzati dall’autista e si poteva mangiare panini sotto un pino dopo la visita ai morti. Quasi lo stesso sforzo da festa che si provava a carnevale quando tutti avevano il vestito comprato all’Upim e tu un po’ di rossetto sulle guance.

Per fortuna ai tempi moderni le maestre hanno i jeans che vanno bene per le gite e per le A sulle righe.

Immagine tratta da Pixabay

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