Henri Matisse, Vaso di girasoli

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

L’artista Gustave Moreau si dimostra decisamente profetico nei confronti di Henri Matisse, al quale dichiara, senza mezzi termini, l’indiscutibile capacità di semplificare la pittura.

Matisse, infatti, ha esigenze ed intenti diversi rispetto ad altri colleghi pittori; egli non avverte l’esigenza di imitare la natura, al contrario desidera esprimere ciò che vede rendendolo per mezzo della propria indole pittorica.

Non nasconde l’ammirazione per altri innovatori dell’epoca, cercando di trarre da ognuno un elemento dirompente al limite del dissacrante, in grado di proporre qualcosa di travolgente.

L’embrionale cubismo di Cézanne, così come gli unici accostamenti cromatici di Seurat, pronti a legarsi e comporsi nella retina dell’osservatore, diventano inaspettate occasioni di lampanti spunti atti a proporre un mondo nuovo, al di là della semplice, innocua raffigurazione del mondo esterno.

Sì, perché Matisse non fa mistero della propria volontà di stupire attraverso modi diretti di colpire il pubblico, talvolta ambigui nell’ansia di manifestare gioia ed energia: la semplicità, spesso dominante, come nell’opera riportata, ne mostra una precipua caratteristica di sobria essenzialità.

Siamo ancora lontani dall’innovazione di Natura morta spagnola, i cui elementi risultano meno riconoscibili e proprio per questo più elaborati, studiati attraverso una ricerca cromatica che si mostra già in potenza, ma al contempo vicini ad altri dipinti dello stesso genere e autore che appaiono, confrontati, una sorta di galleria sperimentale in chiave innovativa, attraverso cui sottende ed elabora nuove convinzioni di taglio coloristico esuberante e vivace.

Allo stesso modo in cui Mondrian effettuava tentativi di ricondurre l’immagine ad una ricercata bidimensionalità, Matisse concentra la propria attenzione sul colore, attraverso una forte espressività paradossalmente accentuata dalla linearità delle forme: la dimostrazione di quanto complessità ed elaborazione possano essere vicine, e solo apparentemente distanti.

Del resto Matisse, praticamente, approfitta di un fiore come il girasole, da sempre dominante l’immaginario degli artisti, avvenente nel proprio dominio campestre come ben conosce chi si sia trovato, almeno una volta, al cospetto di un campo di girasoli in fiore, ogni volta caparbio nell’affermare quelle origini mitologiche che da sempre ne costituiscono storia e immagine.

Dall’amore non corrisposto tra Clizia e Apollo – Clizia si accontentava di osservare il carro del dio del Sole, limitandosi a seguire con lo sguardo quell’oggetto del desiderio che inizialmente l’aveva assecondata per poi laconicamente abbandonarla, e venne quindi tramutata nel suddetto fiore – alle più materiali varianti delle entusiastiche sensazioni di Van Gogh, quasi sempre destinate ad immancabili disillusioni, passando per le visionarie interpretazioni di Egon Schiele, il quale preferisce soffermarsi sulla loro caducità, mentre Klimt indugia sulla potenza ornamentale di una decorazione prorompente.

Un legame talmente emblematico, quello tra i fiori e l’arte, che nel 2020 Giovanna Lattanzi, di formazione perito chimico biologico, ne coniuga il recupero con alcune specie ortofrutticole storiche ormai desuete, in un gesto che viene definito rivoluzionario, poetico e intelligente.

Nasce così Semi d’autore, una serie di bustine di semi rievocanti, psicologicamente, le atmosfere artistiche, e fisicamente i fiori che gli stessi autori hanno scelto di rappresentare nei propri immortali capolavori, anche se in questo caso i semi di girasole riprendono quelli di Klimt, mentre a Matisse viene riservata la margherita africana…

‘Ci sono fiori dappertutto per chi è capace di vederli’ – Henri Matisse

Henri Matisse (1869-1954), Vaso di girasoli, 1898/1899, olio su tela, 46×38 cm., Hermitage – San Pietroburgo

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