Il mio gioco preferito erano le mani di mamma.
La sera soprattutto, nell’ora della flanella e già delle stoviglie rovesciate della colazione, diverse tra loro per narrative familiari e punti Dash Mulino Bianco Miralanza.
Era l’ora della petulanza olfattiva del pane unto, l’eucarestia remunerativa della sera dopo una giornata rettangolare,
la cicatrice ghiandolare della salivazione tra la cena e la famiglia.
L’odore come quarta dimensione.
Ecco proprio quell’ora lì, avete presente, in cui la madre si siede finalmente e sbuccia un’arancia giovanissima con una fragranza vagamente marina,
la stessa che d’estate bruciava gli occhi, pizzicava naso e gola.
Era un riflesso di vacanza, credo, l’aspetto scioperato dei giorni col pisolino e il dondolio.
Mamma sbucciava, dunque, quest’arancia in un nastro lunghissimo geometrico perfetto,
la mia magnifica bigiotteria.
E poi c’era il globo solare di giallissime mele ricomposto in un’unica fettuccia dorata come se mamma fosse Dio al primo giorno di creazione.
C’era da creare bellezza e universi in quell’ora della sera tra il tg e Bud Spencer, le calze di lana e gli orizzonti senza fuga.
C’era solo da dirsi Facciamo finta di…e crederci a tal punto che i sogni diventavano d’oro col bacio sulla fronte
Immagine tratta dal web
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