Montaigne afferma che “i giochi dei bambini non sono dei giochi, bisogna invece valutarli come le loro azioni più serie”. Una cosa seria poiché il bambino gioca seriamente in modo spontaneo e naturale e nell’azione ludica estrinseca se stesso.
Il bambino lavora giocando e gioca lavorando, nel contempo costruisce la propria identità, attraverso il benessere che sperimenta all’inizio fino alla consapevolezza del legame di causa ed effetto, dall’azione del puro piacere del gioco all’acquisizione delle regole etiche e quindi sociali.
È un animale sociale l’essere umano ed il bambino, nel gioco, non è mai solo: è con sé stesso, proiettandosi nell’amico invisibile che lo accompagnerà per molte avventure intorno al suo mondo, progettandosi.
Cosa possiamo fare? Cosa non possiamo fare? ci sono pirati e fate che insegnano loro che, sotto la volta di un cielo stellato, ci sono regole di comportamento da rispettare.
La perseveranza, la fiducia in sé stesso si costruiscono lungo il viaggio nel proprio mondo fisico e psichico.
Il gioco è fondamentale per lo sviluppo intellettivo del bambino poiché egli sperimenta la sorpresa – l’Aleteia- la meraviglia di fronte allo schiudersi di un’esperienza vitale e quindi posto dinanzi al disvelamento di un esser-ci.
È in relazione con il mondo.
L’adulto consapevole accompagna, come nell’arte maieutica, ogni bambino verso la felicità di sé stesso, accompagnato dai tessitori di emozioni, dai cercatori di passioni. L’adulto che insegna si pone la domanda su cosa il bambino vorrebbe fare da grande.
Una cosa è certa: vuole essere felice, come lo è ora, nel gioco. L’arduo compito ai maghi della crescita che io definisco gli
“Aspiranti Felicitatori” per lo sforzo costante di guida profuso ad orientarsi, a dirigersi verso la meta: la felicità di ogni bambino, come nel parto doloroso ma necessario del bruco che diventa una bellissima farfalla, un percorso
fino all’ultima goccia d’anima,
dritti al cuore
Immagine tratta dal web
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