Il meriggio della vita e la fase culturale

DI MARINA AGOSTINACCHIO

 

Del saggio ” Psicologia dell’ inconscio” di Gustav Jung, mi piace ripercorrere quanto detto dallo studioso sulle stagioni della vita e sul loro senso, per riflettere sull’ oggi e contribuire nel mio piccolo con qualche osservazione personale.

La lettura mi è parsa un manifesto rivolto alla nostra società e cultura occidentale, universalmente estensibile in tutti i tempi.

È un dato di fatto che molti giovani ritengano l’ età della maturità, se non proprio quella senile, uno stadio di vita dove ormai si è tutto esaurito, un’ età in cui non c’è più molto altro da dire che abbia un senso sul versante produttivo e speculativo.

Chi ha un buon numero di anni sulle spalle può raccontare un percorso fatto, tra proprie esperienze e contesto storico sociale di cui esse hanno fatto parte.
Entrando più nello specifico del discorso di Jung, l’ uomo e la donna, appesi all’ attaccapanni lavoro, genitorialità, fatica di un tram tram quotidiano, possono vivere spesso la terza età con un senso di perdita di progettualità e di ricerca di scopo esistenziale.
Ma proviamo a riavvolgere il nastro.

 

Giunti, se giunti, di questi tempi, al passaggio dall’ esperienza e al riconoscimento di sé in un alterità d’ amore, dalla fase di fine studi, alla reperibilità di una casa, ecco pervenire la fase successiva: procreazione, maternità, impiego di energie nella crescita e nell’educazione dei figli, lavoro, carriera, ricerca di guadagno e di ascesa sociale.

Jung definisce Natura ed Educazione questo periodo di fertilità e di potenzialità del corpo, della mente e dei progetti.

E dopo? Per noi donne la menopausa segna una linea di demarcazione importante tra un prima e un dopo poiché in noi avviene una mutazione nel corpo, nel sistema ormonale, all’ interno della sfera emotiva e sensoriale.

Tutto dà la misura di una dimensione sconosciuta con cui dobbiamo negoziare a rischio di nevrosi.
Accogliere, accettarci, scoprire nuove risorse, dare valore agli anni disconosciuti in età giovanile. Pare questo il messaggio della vita.

Ma Jung si sofferma anche a parlare di come
sia un errore da parte dei non più giovani indossare i panni dei figli, del mondo che ruota intorno a loro.
Uomini eternamente “green” si adagiano in sequenze di pensiero ed estetiche, per ” camminare” a fianco dei figli dichiarandosi loro amici.

Donne, avvantaggiate sicuramente dal progresso in campo innovativo nella ricerca di prodotti di allungamento e ritocco dei deterioramenti causati dall’età, scendono a patti con le figlie,riproducendo riti esteriori che non appartengono davvero ad un vissuto corrispondente.

Vestire, pensare, atteggiarsi secondo canoni, superati, per forza di cose, è un’ ipocrisia; in fondo a noi stessi sappiamo che imitare non è essere.
La nuova fase di vita chiede un salto. Se prima si era alla ricerca di idee, di esperienze, fuori da sé anche attraverso una sintesi con quanto introiettato dall’ ambiente e dall’ educazione familiare, poi si dovrebbe incominciare a ricercare in sé quello che Jung chiama lo scopo culturale.

Esso è costituito di ricerca interiore, elaborazione di quanto fatto e realizzato negli anni, orientamento di linee e prospettive di vita, secondo una direzione migliorativa, da offrire come possibilità di scelta per i più giovani

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