“Il mio bimbo piange”, “Il mio ha incubi”, “La mia picchia le bambole”: tutta colpa della maestra

DI VITTORIO LODOLO D’ORIA

Quando una creatura viene alla vita, piange disperatamente, ma se per caso non emette alcun gemito, viene sollecitata a farlo con sculaccioni sempre più energici finché non comincia a respirare. Contrariamente a quanto si è soliti pensare, le prime “botte” ricevute sono dunque a fin di bene e il primo pianto è di buon auspicio perché rivelatore di avvio della ventilazione polmonare del neonato.

Nei mesi e negli anni a venire il pianto resterà il principale strumento di comunicazione che servirà al piccolo per richiamare l’attenzione dell’adulto sulle sue esigenze (fame e sete), paure, stati d’animo, sensazioni (caldo/freddo, bagnato/asciutto…), pretese, insoddisfazioni, piccoli incidenti, contrarietà e via discorrendo. La mamma, così come l’educatrice del nido o la maestra della scuola dell’infanzia, si troverà a imparare a “leggere” il pianto per capire se è foriero di un bisogno reale o se è un semplice capriccio. A questo punto diviene estremamente importante comprendere le differenze tra i ruoli di mamma e quello di educatrice o maestra. Il bimbo che si affaccia al mondo prescolare è infatti sottoposto alla nuova esperienza della socializzazione tra pari e ai rapporti con adulti estranei alla famiglia. Le insegnanti sono le uniche ad avere esperienza di socializzazione dei bimbi, mentre i genitori (e gli inquirenti come vedremo più avanti) utilizzeranno come esclusiva chiave di lettura dei fatti il proprio vissuto familiare limitato. Le reazioni a queste inedite esperienze “in trasferta” dei piccoli, proprio come alla nascita, sono spesso mediate dal pianto che cesserà in un tempo variabile, anche in base all’educazione più o meno protettiva proposta da ciascun genitore. La maestra dal canto suo avrà inoltre l’esclusivo e delicato compito di interagire con i genitori (divenuti oggi sempre più “sindacalisti” dei propri figli piuttosto che loro educatori), convinti di detenere il giusto e unico modello educativo-pedagogico esistente al mondo. La realtà è invece affatto dissimile perché ciascuna famiglia proviene da ambienti di estrazione sociale diversi, cui spesso si aggiunge la differente etnia in virtù del processo di globalizzazione occorso nel terzo millennio. A rendere ulteriormente complicata la vita dell’intera categoria professionale delle maestre sono le nuove tecnologie, i social con i famigerati gruppi Whatsapp tra genitori che ospitano commenti, pettegolezzi e distillati di pedagogia educativa oltre alle immancabili ricette di cucina. “Il mio bimbo piange”, “Il mio ha incubi”, “La mia picchia le bambole”, “La mia non vuole andare a scuola”, “Il mio fa pipì a letto”, “Il mio è tornato nel lettone”: Certamente tutta colpa della maestra!

Con l’aria che tira, quindi, non meraviglia se negli ultimi sei anni (2014-2019) sono aumentate di ben quattordici volte le denunce e i procedimenti penali nei confronti delle maestre ma, a tutto ciò, si somma un altro problema: l’interpretazione del pianto dei bimbi nella lettura delle audiovideointercettazioni da parte degli inquirenti (che non sono propriamente dei pedagoghi o comunque degli addetti ai lavori). In quasi tutti gli atti relativi ai procedimenti penali di Presunti Maltrattamenti a Scuola (PMS) si legge che “il pianto dei bimbi è cagionato dal clima di paura e di terrore creato dalla maestra”, ma la realtà è più complessa proprio per i molteplici messaggi che il pianto di un bimbo prescolare può veicolare.

Per cercare di apportare un po’ di chiarezza in materia è stata condotta una ricerca su 200 maestre chiedendo loro di enunciare, in ordine decrescente, le motivazioni che possono indurre un bimbo, o l’intera classe, a piangere. Le impressioni e le esperienze più significative sono di seguito riportate.

Le risposte delle maestre

  1. I bambini piangono soprattutto per il distacco dalla madre, perché lo vivono come un abbandono, perché la scuola è il primo ambiente nuovo che vivono dopo quello familiare. Talvolta i pianti si triplicano alla sola vista della maestra perché il suo sopraggiungere coincide col distacco dalla mamma.
  2. I piccoli si trovano a vivere la prima socializzazione con l’esterno e questo comporta confronti, scontri, piccole gelosie tra pari. Il grado di egocentrismo del bimbo è determinante al pari del suo temperamento e dell’educazione familiare. Possibili i segni di regressione come il ritorno all’uso del ciuccio o del biberon o addirittura l’enuresi.
  3. Verso I 2/3 anni ci sono fasi oppositive ed anche liti tra pari. Indubbiamente il bimbo del nido inizia a comprendere che non è più “onnipotente”, che ci sono i pari, che compaiono i “no”, che esiste una “regola come contenimento”, ma il tutto in un clima di relazione significativa con le educatrici. Talvolta sono i genitori per primi a non accettare le regole della convivenza poiché “limiterebbero” il loro bimbo.
  4. Il pianto è normale ed è un bene che ci sia, altrimenti vorrebbe dire che il bambino non è sensibile al distacco dalla madre, vorrebbe dire che non è stato bene con la sua famiglia fino all’inserimento nel nuovo ambiente educativo.
  5. Pianto da fame, fastidio, dolore, stanchezza, risveglio oppure per semplice capriccio.
  6. Una bimba di tre anni ha pianto a lungo poi abbiamo capito che aveva difficoltà di apprendimento. Col giusto supporto è migliorata nel tempo ma il pianto era l’espressione a cui ricorreva quando era in difficoltà per il suo ritardo.
  7. Un bimbo non mangiava neanche la merenda portata da casa. I suoi genitori si stavano separando e il suo gesto era un chiaro bisogno di attenzione che è rimasto tale anche dopo la separazione definitiva dei genitori. Un rifiuto il suo peggiore del pianto.
  8. Alcuni presentano difficoltà nello stabilire rapporti con i compagni. Spesso non desiderano condividere giochi e dipendono molto dall’adulto, cercando rifugio tra le braccia dell’insegnante che non sempre può soddisfare la richiesta per ovvi motivi.
  9. Un bambino che riceve un rimprovero, non piange quasi mai se il rimprovero è motivato. C’è anche chi non accetta il richiamo e piange ostinatamente: si tratta per lo più di bambini che presentano iperattività e sono oppositivi. Purtroppo, in questi ultimi anni, si è verificato un forte aumento di casi simili che mettono a dura prova l’insegnante.
  10. Per i più grandicelli (3-5) pianto e capricci per la difficoltà di accettare le regole scolastiche che di solito cozzano con la troppa “libertà” lasciatagli in famiglia (assenza di regole). Egocentrismo esasperato rende il bambino di questa età refrattario alle regole e alla relazione con coetanei e maestre, non accettazione dei tempi e nella condivisione di giochi e cose. Di contro un bambino abituato alle regole e cresciuto in equilibrio educativo si adatta con facilità alla vita scolastica. Infine ci sono i pianti irrefrenabili per incapacità del bambino all’autocontrollo, questo in presenza di ritardi dello sviluppo affettivo-emotivo.
  11. La lite con altri bimbi scatta per mille motivi, anche solo per un “pezzo di carta”. La maggior parte dei bambini figli unici lo fa perché non è abituata a condividere: “A casa è tutto mio, ne faccio quel che voglio, lo lancio, lo mordo, lo strappo…”.
  12. Nascita di un fratellino, trasferimento, separazioni o liti tra genitori. Rapporto morboso con uno dei due genitori. Tutto può determinare disagio del bimbo che reagisce col pianto.
  13. I bambini che hanno fratelli, a scuola potrebbero ripetere le dinamiche adottate a casa. Per esempio mordere l’altro per indurlo a mollare il gioco, tirargli i capelli, o semplicemente adottare comportamenti plateali come il pianto isterico, battere i piedi, sbattersi per terra etc.
  14. Esistono delle regole “giuste” che tutti devono rispettare innanzitutto per la propria e altrui incolumità. L’adulto deve sempre prevedere e prevenire ogni situazione di potenziale pericolo. A scuola la maestra lo deve fare per tutti i bambini (fino a 29), non per uno solo come in famiglia.
  15. Un pianto che può durare ore o giorni? Difficile che c’entri l’insegnante in questa situazione. Talvolta il pianto non è cosa negativa perché significa che il bimbo sta crescendo. I malpensanti vanno a cercare una spiegazione negativa, ad esempio qualcosa che la maestra avrebbe fatto al piccolo. Spesso cambiano anche sezione ma la solfa è sempre la stessa.
  16. Secondo la mia esperienza il pianto può essere dovuto a: nascita di un fratellino (a volte anche solo di un cuginetto), ansia da prestazione dovuta a una presenza troppo soffocante dei genitori, bambini viziati non abituati a gestire le proprie frustrazioni, separazione dei genitori spesso conflittuale, grave malattia o lutto in famiglia, maltrattamenti a cui assistono o che subiscono direttamente.
  17. I casi più angoscianti sono quelli dei bambini con disabilità. Magari fanno fatica ad esprimere i loro bisogni, anche solo quello di andare in bagno. O gli oppositivi-aggressivi: il pianto spesso è la fine del momento violento.
  18. Le maestre dell’infanzia, soprattutto quelle più anziane e di vecchio stampo, urlano molto di più e sono meno empatiche rispetto a quelle giovani, ovviamente non si può generalizzare ma spesso abbiamo avuto modo di notare questa criticità.
  19. Il pianto può essere provocato da un senso di inadeguatezza nello svolgere compiti assegnati che portino allo sviluppo dell’autonomia (es. mettersi le scarpe, la giacca, andare in bagno da soli…).
  20. Il pianto di un bambino può essere dovuto al non voler mangiare e non voler partecipare alle attività proposte dall’insegnante: si finisce così molte volte in un pianto corale. Questo avviene anche con i bambini della primaria al primo anno di scuola.
  21. I pianti corali dell’intera classe sono piuttosto rari e avvengono soprattutto per contagio. Cause scatenanti possono essere le più disparate e imprevedibili quali la lettura di una storia che fa paura oppure il semplice evocare la “mamma” in quel momento lontana.
  22. Un pianto corale della classe ebbe luogo con una maestra che faceva sempre abbassare le tapparelle e allontanare i banchi da porta e finestre che venivano sigillate perché la donna era convinta di essere spiata e presentava deliri persecutori e allucinazioni. In quel caso il dirigente sospese la maestra inviandola correttamente ad accertamento medico. La classe non comprendeva lo strano comportamento della docente e il disorientamento conseguente scatenava il fenomeno del pianto collettivo.

Le tante esperienze raccolte da maestre ed educatrici mettono in risalto le molteplici cause che possono indurre il pianto di bimbi in età prescolare. Va da sé che le insegnanti non possono essere sempre, né tutte, considerate responsabili delle calde e piccole lacrime versate a scuola dai bimbi. È altresì vero che spesso risulta comodo proiettare esternamente alla famiglia la responsabilità dei comportamenti o atteggiamenti del bimbo che dispiacciono o disorientano i suoi genitori.

Ecco che nell’ambito di un procedimento penale per PMS, cadrà in errore l’inquirente non-addetto-ai-lavori che attribuisce alla maestra, in via esclusiva e inappellabile, la responsabilità del pianto di uno o più bimbi senza averne ricercato le cause o avendo esaminato le intercettazioni ambientali in modo selettivo e decontestualizzato. In secondo luogo, sarebbe un ulteriore errore dell’inquirente quello di considerare sempre ed esclusivamente il pianto di un bambino come un’angheria da parte della maestra. Questa reazione (il pianto), peraltro assai frequente nella vita di un piccolo in età prescolare, produce comprensibilmente all’adulto (genitore o inquirente che sia) un vissuto di sofferenza e di dolore, ma è da inquadrarsi in una fisiologica dinamica educativa. Il pianto, inoltre, rappresenta spesso uno strumento manipolativo del bambino che tenta di muovere a compassione l’adulto perché gli consenta di reiterare il proprio comportamento inadeguato. Negli anni il bambino acquisirà la capacità di evitare comportamenti inadeguati ma solo se gli adulti/educatori non cederanno alle sue “manifestazioni di disperazione”.

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*immagine pixabay

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