IL RICORDO DI SABRA E CHATILA E IL VERO PROBLEMA DELLO STATO LIBANESE

DI VINCENZO SODDU

Il 16 settembre del 1972 iniziava a Beirut Ovest uno dei peggiori massacri della storia.
Dopo l’attentato dinamitardo a Bashir Gemayel, da poco eletto Presidente del Libano, le forze israeliane, alleate del governo libanese, occuparono Beirut Ovest.
Il generale dell’esercito israeliano Ariel Sharon, decise di chiudere ermeticamente i campi profughi palestinesi e di mettere cecchini sui tetti di ogni palazzo. Niente e nessuno poteva entrare nei campi. Ebbero quindi gioco facile le milizie cristiane libanesi, costituite dai falangisti: dinanzi a loro quasi solo donne, anziani e bambini, rei solo di appartenere a una religione differente.

Questo massacro fu ed è ancora oggi tragicamente esemplare, sia nei numeri che nella modalità d’esecuzione. Basti pensare che morirono un numero di persone pari alle vittime dell’11 Settembre e che queste stesse persone furono massacrate, spesso a colpi d’ascia, in poche ore.
Chi fu l’autore di questo terribile eccidio, protetto dalla connivenza dell’esercito israeliano?
Furono le cosiddette falangi cristiano maronite, in cerca di vendetta per l’assassinio del loro leader, ma già da tempo opposte ad arabi Sciiti e Sunniti per il controllo del paese.
Cristiani, Sciiti e Sunniti sono ancora oggi le tre componenti dello Stato libanese, e questa distinzione sociale è sottolineata dalla stessa carta costituzionale, dove l’appartenenza religiosa determina la rappresentanza politica, ma anche gli incarichi amministrativi e gli stessi seggi parlamentari.
È chiaro che uno Stato diviso in componenti chiuse e contrapposte come sono le enclavi religiose non può essere uno Stato libero di programmare il bene del suo popolo, perché a ogni decisione la componente di turno chiederà il rispetto delle proprie prerogative.
Un confessionalismo che sfocia facilmente nel clientelismo, che è il vero cancro del
paese dagli anni Venti a oggi, e che paradossalmente ha portato in misura eguale a massacri come quello di Sabra e Chatila come all’immobilismo che ha determinato il grave incendio che ha distrutto gran parte della capitale.
E in qualche modo positivo è che il popolo, dopo l’incendio, sia sceso in piazza per chiedere maggior tutela oltre gli sbarramenti dettati dall’appartenenza religiosa.
Per capire il caos in cui è caduto il Libano dopo l’incendio del porto, bisogna rifarsi proprio a questa distinzione che costringe il popolo a una protesta per ora sterile quanto sanguinosa, e lo stesso governo di turno
a subire una situazione in cui ha poco margine di manovra per modificare lo status quo.
Ecco allora che finché non sarà votata in parlamento una costituzione laica che tuteli anzitutto il popolo, a prescindere dalle differenze religiose, il Libano sarà sempre vittima di regolamenti di conti e scandali economici che impediranno una crescita economica e sociale che la terra dei cedri secolari merita da troppo tempo, senza però riuscire mai a raggiungerla del tutto.

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