Incubo, cercando me: ricordi (quarta parte)

DI ROSY PENNELLI

Greta era una giovane ragazza, nata in un quartiere poco nobile, cresciuta in un vecchio scantinato dove non c’era nulla che somigliasse alle condizioni di vita di tutta l’altra gente.

In quel tempo c’erano già i telefoni cellulari, ma la sua casa non aveva nemmeno il bagno; era un rifugio del dopoguerra, erano costretti a scaldar l’acqua per potersi lavare in una grande vasca azzurra.. erano lei, sua sorella Betty e suo fratello Paolo.

A Greta non piaceva il suo nome, le dava l’impressione di qualcosa di pesante e vecchio!
A lei non piacevano molte cose di se stessa…a scuola era la classica ragazza che nessuno si filava perché troppo magra, troppo ingenua… c’erano troppi “troppo” che rimbalzavano nella sua mente.

Greta aveva accantonato molte cose della sua infanzia, teneva impresso però nella mente un piccolo cuore in velluto rosso scuro, se lo si pigiava risuonava una malinconica “Per Elisa” , glielo aveva donato il suo papà un lontano e tardo pomeriggio , chissà dove lo aveva trovato! Lei lo ascoltò e riascoltò sdraiata e ranicchiata sotto le coperte del lettone, piena di gioia per il piccolo dono inaspettato ma al contempo con un senso di solitudine che inevitabilmente già le camminava accanto.

Era solo un ricordo ma non rammentava che fine poi avesse fatto quel cuore tanto nostalgico.
Greta rientrava da scuola a volte di passaggio con poche ragazze che forse erano amichette o forse conoscenti, non le era ancora chiara la differenza, l’avrebbe maturata molto tempo dopo.

Lei fingeva di salire le scale nel palazzo dove abitava per l’imbarazzo di dover scendere giù in uno scantinato, sapeva che era inutile e che tutti sapevano che abitava lì giù! Ma lei si ostinava e fingeva spudoratamente quell’atto di salita.

Un’altra cosa che detestava era proprio quello scantinato, c’era qualcosa che l’avrebbe segnata per la vita, qualcosa che le aveva dato il suo “dono”… il suo modo di vedere le cose nella gente, lei le persone le sentiva nello stomaco, la sua empatia era esagerata tanto da tenersi in guardia continuamente e disgraziatamente, al contempo, desiderava così tanto attorniarsi di qualsiasi genere di persona e non sentire il loro essere dentro.

Il suo modo di percepire l’esterno in una maniera differente… era qualcosa che la gente definiva stranezza ma lei non lo prendeva come insulto, lo aveva accettato nel tempo ed era ciò che la faceva sentire diversa, ciò che non la rendeva simile a chiunque e che sarebbe cresciuto con lei, dentro il suo maturare, dentro il suo essere donna e soprattutto l’avrebbe resa fortemente sensibile, fino alla disperazione.

In quello scantinato buio e tetro, alle volte aveva concluso con se stessa che vi erano delle presenze, sognava sogni orrendi con l’avvicinarsi dell’adolescenza . Non l’avrebbero mai lasciata!

Immagine tratta dal web

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