Intervista a Barbara Bouchet, una delle regine della commedia sexy italiana

DI GIOVANNI BOGANI

L’altro giorno ho raggiunto al telefono uno dei miti della commedia erotica degli anni ’70. Ecco qui.

Bionda, spigliata, leggera. Provocante con brio. Barbara Bouchet è stata fra le regine della commedia sexy italiana. Edwige Fenech era la bruna, formosa, mediterranea, occhi di un nero profondo, regina di Saba. Lei, Barbara, era agli antipodi: chiara, luminosa, ironica. Un colibrì, un colibrì dell’eros.

La mente degli spettatori divenne una stanza tappezzata dalle immagini di lei. Gli atti impuri all’italiana li celebrava il cinema: c’erano sempre quaranta gradi all’ombra del lenzuolo. C’erano anche, per lei, film più ambiziosi, come “L’anatra all’arancia” di Luciano Salce. Ma soprattutto, gli anni ’70 furono una corsa, un film dopo l’altro, a calarsi nei panni – limitati allo stretto indispensabile – di decine di personaggi.

Poi, di colpo, più niente: via dal set, non ha neppure trentanove anni. Si dedica al fitness in tv e ai figli. Il maggiore, Alessandro Borghese, diventerà chef, con una riuscita vocazione allo spettacolo. Ritrova il cinema dopo vent’anni, nel 2000, con Martin Scorsese, in “Gangs of New York”. Poi verranno gli abbracci di Quentin Tarantino, che quasi la stritola alla Mostra di Venezia, al grido di “ho visto tutti i suoi film!”. La raggiungiamo, telefonicamente, nella sua casa di Roma.

Barbara, il suo nome d’arte – Bouchet – evoca la Francia. In realtà lei è nata più ad Est. E sulla sua infanzia, si potrebbe dire, è passata la Storia.
“Esatto. Sono nata a Reichenberg, che oggi si chiama Liberec, ed è in Repubblica ceca. Quando ci sono nata io, nell’agosto 1943, era Germania. Ed erano tedeschi i miei genitori. Subito dopo la Seconda guerra mondiale, i tedeschi furono cacciati. E la nostra famiglia iniziò una serie lunghissima di peregrinazioni”.

Ricorda qualche cosa, di quegli anni?
“Certo. Da Liberec riparammo in Baviera. Quando vennero gli americani, con i carri armati, tremava tutta la casa! Mia zia regalò loro frutta e verdura, e loro ci regalarono caramelle e cioccolata. Poi andammo in America”.

Fu dura, negli Stati Uniti?
“Molto. Finimmo in California, in campagna, tutti a lavorare nei campi di cotone. Io avevo dodici anni. Ma in Germania avevo visto un film, ‘Der Schweigende Engel’, con un’attrice bambina, Christine Kaufmann, e mi innamorai della danza”.

Studiò danza?
“Andai, quasi di nascosto, a San Francisco – la città più vicina – in una scuola di ballo. Ma avevo già troppe curve: non andavo bene”.

E venne il primo concorso di bellezza.
“La signora che gestiva la palestra mi iscrisse a ‘Miss China Beach’, a San Francisco. Vinsi. Ma il premio era una truffa, un provino cinematografico che non esisteva. Ma io, cocciuta, ormai volevo quello che mi avevano promesso. Da sola me ne andai a Los Angeles. Quel provino non esisteva, ma ne trovai altri. E a quindici anni ero andata via di casa”.

Non vennero a cercarla?
“Mio padre si precipitò: ma ormai la mia decisione era presa. Mi sono resa conto solo più tardi di quale enorme dispiacere gli abbia dato. Mi arrangiai per vivere: vendetti polli, scarpe. Feci una pubblicità per un parrucchiere. La vide, per caso, il marito di Doris Day. E iniziarono le piccole parti nei film”.

Piccole parti, ma con Robert Mitchum, con Jack Lemmon, con Davidi Niven, anche con Marlon Brando. Che ricordi ne ha?
“Io non sapevo neppure chi fossero! Non andavo al cinema. Per me erano persone come le altre. In una scena Robert Mitchum doveva baciarmi, per finta: mi ritrovai una sua caramella in bocca! Jack Lemmon era molto gentile, molto timido. David Niven mi adorava”.

E Brando?
“Sul set commisi una gaffe madornale. Eravamo in tante ragazzine. Io dissi: ‘ma chi è che usa questo profumo tremendo, che mi fa venire il mal di testa?’. Marlon Brando si alzò, invelenito. Quel profumo era il suo. Ma anche lui, per me, era uno come gli altri”.

Poi approdò in Italia.
“Per aver detto di no a un produttore, che aveva rapporti molto stretti con la mafia e aveva promesso di stroncarmi la carriera. C’era l’occasione di fare un film in Italia. E non sono più andata via”.

Ha lavorato con Lando Buzzanca, con Lino Banfi, con Ugo Tognazzi…
“Ugo mi adorava. Ne ‘L’anatra all’arancia’, cercava sempre di aumentare la mia parte, le mie righe di dialogo. Lando mi cantava sempre una canzone di Modugno, ‘Vecchio frac’, chissà perché”.

Era un’attrice disciplinata o un po’ diva?
“Un soldatino di piombo. Ero puntuale come un orologio svizzero, non facevo mai capricci, lavoravo sodo. L’anima tedesca veniva fuori, nella sua parte migliore: l’affidabilità”.

Si rendeva conto di essere nell’immaginario erotico degli italiani?
“Macché! Me sono accorta dopo: quando ho incontrato persone che mi hanno detto ‘io ho sognato con lei’. E io rispondevo: va bene, speriamo che sia stato un sogno bello! In quegli anni non c’era tempo che per lavorare”.

Lei, Edwige Fenech, Zeudi Araya, Anita Ekberg, Senta Berger, Laura Gemser. Le straniere dominavano il cinema italiano in quegli anni. Perché?
“Perché prima c’erano state le italiane formose, mediterranee: la Cardinale, la Loren, la Ralli: brune, materne, passionali. Con me è iniziata la moda della straniera bionda e con gli occhi azzurri. Il perché non lo so: ma chi produceva i film con noi li vendeva molto bene, sia in Italia che all’estero. Vennero anche Karin Schubert, Ewa Aulin e tante altre: ma potrei dire il biondo nel cinema italiano l’ho portato io!”.

Ha rifiutato dei film?
“Due. Che due mie colleghe molto brave hanno portato al successo”.

Quali?
“Histoire d’O, che fece scoprire Corinne Clery, e ‘La chiave’, che è stato fatto da Stefania Sandrelli. Io in quel momento avevo chiuso con il cinema, avevo già un figlio, non volevo più spogliarmi”.

A proposito di figli. Alessandro come ha vissuto quel periodo?
“Ha avuto i suoi problemi a scuola. I compagni lo prendevano in giro, gli dicevano ‘ho visto tua mamma nuda’. Ma lui gli rispondeva: ‘la mia mamma se lo può permettere, la tua non lo so’. Però soffriva. E anche l’altro, il piccolo, Massimiliano – che adesso ha 31 anni – non voleva che la gente mi guardasse in un certo modo”.

Che cosa accadeva quando uscivate?
“Massimiliano non voleva camminare accanto a me. Così camminava dietro. Ma un giorno mi disse: mamma, è peggio: così sento che cosa dicono!”.

Con il mondo dello spettacolo che rapporto avevano?
“Alessandro diceva sempre: non farò mai l’attore, non voglio vivere aspettando una telefonata. Poi, alla fine, è entrato anche lui nel mondo dello spettacolo, anche se in un modo tutto suo”.

Diversamente da suo figlio Alessandro, la cucina non è la sua passione.
“Per niente: in cucina io brucio tutto! Non ho pazienza per stare ai fornelli, non ho passione per il cibo. A colazione acqua calda col limone e lo zenzero, frutta e caffè americano. E il forno lo uso come armadio”.

Avrà mangiato in tutti gli hotel del mondo. Ci sono delle specialità che ama particolarmente?
“L’osso buco col purè, e la coda alla vaccinara col
purè”.

Così poco esotico?
“Sì. Però viaggiare mi piace. E il cinema mi ha permesso anche quello”.

Che cosa pensava, quando le offrivano un film?
“Chiedevo due cose sole: dove andiamo, e quanto mi date. ‘Dove andiamo’, perché mi piace viaggiare. E ‘quanto mi date’, perché per me era un lavoro, niente di più”.

Eppure il cinema era nella sua vita fin da prima che nascesse. Suo nonno aveva una sala cinematografica.
“Sì: a Liberec, in Boemia. E faceva il cameraman; anche mio padre ha fatto il cameraman, durante la Seconda guerra mondiale filmava la guerra”.

Lasciò il cinema senza rimpianti, nel 1982?
“Sì sì. Non volevo vivere aspettando una telefonata. E dopo i quarant’anni non potevo certo aspettarmi di replicare all’infinito quei ruoli. Ho scoperto la palestra, ho portato per prima il fitness in televisione, mi sono creata un altro mondo, ho portato la salute alle donne italiane”.

Che rapporto ha, oggi, con quel cinema, con quella immagine?
“Io sono sincera: quel cinema mi ha dato tutto. Quell’immagine sexy mi ha regalato la popolarità e l’indipendenza economica. Nei miei film ero spesso nuda, ma sono felice di non avere offeso il pudore di nessuno”.

Oggi, con i social, in un mondo in cui ogni foto viene vivisezionata, come si troverebbe?
“Meno male che ai miei tempi non c’era! Mi avrebbero fatta a pezzi! Ognuno si sarebbe sentito in diritto di commentare, di attaccare, di insultare”.

Ha chiuso con quella se stessa?
“Sì. Quei film non erano solo sexy, erano anche delle commedie: bisognava recitare, non solo farsi vedere. Sono contenta di essermela cavata bene. Ma adesso appartiene tutto al passato: ho faticato tanto per chiudere con quell’immagine di me sexy, e voglio lasciarla lì dov’è”.

Che cosa le ha detto Tarantino a Venezia?
“Mi ha urlato che aveva visto tutti i miei film, e ha voluto vedere alcune proiezioni insieme con me.

Che cosa chiederebbe al cinema, oggi?
“Vorrei un ruolo drammatico. Fatemi brutta, fatemi vecchia, ma datemi un ruolo su cui affondare i denti! Vorrei un ruolo adatto alla mia età. Voglio far vedere
che sono brava, anche se non sono bellissima”.

Ha in mente con quali registi vorrebbe lavorare?
“Certo! E’ da un po’ che ci penso: Ferzan Ozpetek, Pupi Avati, anche Paolo Sorrentino. Se anche loro mi avessero in mente, come io ho in mente loro, saremmo già al quinto film insieme!”.

Nella foto, Barbara adolescente al suo primo concorso di bellezza.

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