Ivan Perilli, È troppo presto per andare a dormire

DI MARIO MESSINA

Il libro di Ivan Perilli si pone nel solco del “divertissement”.
Di quel genere letterario per cui l’ attenzione è focalizzata sulla creatività del meccanismo narrativo più che sulla trama.

Assumendone, pertanto e coerentemente, pregi e difetti.
L’ idea di una trama dal classico sviluppo può subire, così, una deroga offrendo la possibilità allo scrittore di sbizzarrirsi in percorsi che possono prescindere dal vero.

Incipit del racconto è il dialogo di una coppia in procinto di addormentarsi.
Dove un Lui desideroso di raccontare una peregrinazione romantica si rivolge ad una Lei inizialmente refrattaria.
Da qui in poi inizia il vero e proprio racconto basato sulle cento tappe che un indefinito Lui sarà chiamato ad affrontare alla ricerca della sua Lei.

Cento tappe corrispondenti a cento diversi pub.
Ciascuno caratterizzato da un soggetto differente.
Da un personaggio ora reale ora immaginifico; ora noto ora comune.
Una carrellata che mette insieme ed in sequenza l’agente di polizia ed Il vento;
Giuda Iscariota ed il Grande Gatsby; Bukowski e la violinista. Tanto per fare solo alcuni esempi.

Un esercizio di stile che, però, di contro, ha dei risvolti non sempre “positivi”.
Il libro è, infatti, piccolo ed agile.
Ogni incontro è stringato.
Darebbe l’illusione della cosiddetta full immersion.
Della lettura tutta d’ un fiato.
Ma così, a mio avviso, non può accadere.
La sequenza è ininterrotta.

Non ha categorie o capitoli che possano permettere di prendere fiato.
Il rischio concreto è, a modesto giudizio dello scrivente, di mettere a dura prova concentrazione ed attenzione.
Si vorrebbe procedere ma in assenza di una reale evoluzione sorge la necessità di una pausa.

Un effetto fisiologico cui si va incontro pure con opere ben più celebri come “Esercizi di stile” di Quaenau.
Figurarsi con un’opera sperimentale e ancora, per certi versi, da affinare.
Se l’autore, ovviamente, vorrà.

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