La Germania del dopo Merkel: quale futuro si prospetta?

È lenta la Germania, non lei. E magari a Capodanno…

Angela Merkel senza eredi, nessuno come lei, un futuro di instabilità e confusione, la Germania più debole, la Cdu allo sbando, Merkelnostalgia… Sono questi i titoli e le opinioni prevalenti nei media europei, soprattutto anglosassoni, sul ritiro di Angela Merkel e sugli scenari del voto tedesco.

Chiunque vincerà, sarà sottoposto a un confronto impietoso e apparirà inadeguato, rispetto ai meriti che tutti riconoscono alla cancelliera e al consenso, trasversale ai partiti, di cui ancora gode. Anche i tedeschi tendono infatti a dimenticare che la cancelliera, all’inizio della sua carriera, non era affatto un gigante della politica, bensì una timida ragazza venuta dall’Est, piuttosto impacciata nella comunicazione e senza carisma. Un’intera generazione l’ha vista così come è oggi, con i suoi blazer colorati, la posa delle mani a rombo, determinata nelle decisioni e protettrice del Paese.

Ma se si tengono presenti la forza intrinseca del sistema e la logica del gioco politico, la «narrazione del vuoto» tedesco appare francamente esagerata. Il futuro Cancelliere, come fu per la stessa Merkel (tre grandi coalizioni su quattro legislature), sarà espresso e sarà condizionato da questo sistema e da queste logiche.

È difficile che in politica esista il vuoto e questo vale ancora di più per la Germania, il cui sistema federale, nato dalla sconfitta del Nazismo, è costruito per impedire l’instabilità e bilanciare poteri diversi, dare forte rappresentanza alle realtà regionali, garantire l‘indipendenza della Banca centrale, assegnare un ruolo di controllo alla Corte Costituzionale anche su questioni economiche.

I partiti, nonostante l’erosione degli ultimi anni, sono ancora fortemente radicati nella società ed esprimono classi dirigenti di livello. Il dialogo permanente fra sindacati e imprenditori ottimizza accordi e scelte strategiche. Nessuno si nasconde ritardi e problemi in molti ambiti, a cominciare dal processo di riunificazione effettiva del Paese, ma il sistema tende a marciare in una direzione condivisa, al di là delle differenze interne. Perché questo è il comune sentire della grande maggioranza dei tedeschi.

Se ci si sofferma sui toni accesi della campagna elettorale e sul confronto di programmi, si finisce per immaginare o temere svolte traumatiche, soprattutto in materia fiscale e di spesa pubblica. Alcuni esponenti della Cdu e i liberali immaginano un’inversione di rotta sulla politica finanziaria della Bce. Ma alla fine si tratterà di piccoli correttivi, dentro un solco tracciato e collaudato, sia in politica estera, sia nelle politiche sociali ed economiche.

È dunque il sistema stesso, con i suoi rituali e le a volte estenuanti lungaggini, a esprimere il leader. Ed è questo sistema che in tante occasioni ha fatto apparire Angela Merkel eccessivamente prudente, lenta nel prendere decisioni, più attenta alle faccende domestiche che alle questioni europee. Il suo grande merito è stato proprio quello di favorire progressi, a volte millimetrici, in Germania e in Europa, facendo quotidianamente i conti con veti e contrappesi in casa propria.

Anche se l’attenzione dei media è concentrata su chi guiderà la Germania, occorre ricordare che i tedeschi votano per il Bundestag e che l’incarico al futuro Cancelliere sarà il risultato di alleanze fra partiti e di trattative complesse, che come in passato possono durare mesi, al fine di raggiungere quasi assolute garanzie di stabilità per la legislatura. Non è nemmeno escluso che sia ancora Angela Merkel, ritiratasi dalla competizione, a fare gli auguri di Capodanno, in attesa che i partiti raggiungano un accordo.

Quando Sean Connery non fu più James Bond, il cinema sembrò per qualche tempo orfano del più famoso agente segreto. Poi vennero Roger Moore, Pierce Brosnan e Daniel Craig. Nessuno come Connery, forse, ma quanto divertimento e spettacolo anche dopo. L’esempio può valere per la Germania senza «Mutti». Non sarà spettacolo, ma confortevole e tranquilla continuità.

di Massimo Nava (editorialista del Corriere della Sera)

*Immagine Agi

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