La scrittura, il mio paese

DI MARIAESTER GRAZIANO

La scrittura è il mio paese.
Perché un paese non è solo un posto ma un luogo dell’anima. Quella zona franca che ti lascia andar via tenendo come pegno qualcosa di tuo per costringerti a tornare. Se hai un paese non hai soltanto un punto di partenza ma anche un arrivo.

Uno va per prendersi il destino che gli tocca ma sa dove ha lasciato il nodo della fune a cui è agganciato.
Un lungo cordone ombelicale che sa riportarti a casa.
Un paese è il luogo in cui puoi fermarti, in cui tutti ti conoscono ed esci, volente o nolente, dalla zona grigia dell’anonimato.

Un
paese è già personaggio con un proprio carattere, una gestualità, una postura, una fattezza fisica. E certi paesaggi dell’anima si ricalcano sul doppio esterno, per corrispondenza elettiva. Il paese di Bambina ha pelle color castagna, vitiligine ramata e testa di mosto.

Sudori di muschio e vigna. Fa odore di caldo e di inverni dannati che ti porti addosso per sempre. Anche sotto la camicia inamidata di città ritrovi quell’odore di legna e vendemmia. Tu magari cresci ma quello ti rimane bambino.

Insolente ed impudico, cocciuto e dispettoso. A ricordarti chi sei, da dove vieni. È odore che ti attacca alle cose, ai beni, alle terre, alle stalle, al bestiame, al bicchiere di vino. Quello cotto che ti dà subito in testa.


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