Lascerai dietro di te, le paure

DI GIOVANNI BOGANI

Me ne vado, nella strada di quel paese quasi al confine con l’Austria, troppo famoso eppure, adesso, a mezzanotte, pieno di silenzio. Le montagne sono immense, sono lì da molto, molto prima che nascesse tutta l’umanità. E questo freddo stellato di marzo è bellissimo.

Beh, mamma, che messaggio mi avresti lasciato? Invece che verso l’albergo, cammino verso le montagne. E nel silenzio, lo sento.

“Gianni, io non so cosa dirti. Lo sai, i discorsi non li ho mai saputi fare. E a dirtela tutta, non mi piace nemmen tanto che tu abbia fatto questo libro. Potevi chiedere almeno il permesso, quando ero viva. E io ti avrei detto che non lo volevo. Non volevo nulla, dopo morta, figurati un libro.

Lasciatemi stare, non c’è nulla di importante che abbia fatto, nella mia vita. Anzi sì, una cosa l’ho fatta: ho fatto te. Ma ‘un tu se’ venuto mica tanto bene! No, scherzo… Sei bravo, Giannino, e mi hai dato tante soddisfazioni. Ogni volta che andavo a scuola, dai tuoi professori, tornavo a casa che mi sembrava di volare. Poi, per il resto, non sei stato una persona pratica. Non hai mai avuto un lavoro sicuro. E vorrei proteggerti, e non posso”.

Ma non era questo, mamma, quello che volevo sapere.

“Ma io ‘un te lo so dire, Gianni, quello che tu vorresti sapere. Non lo so dove sono, non lo so dove sto. Non so neanche se dove sono c’è buio o c’è luce, qui dove sono da sette anni. Sette anni che sono qui, e tu non mi pensi mica tanto.

Papà comunque non l’ho visto, e neanche il mio babbo, tuo nonno Giuseppe. E neanche mia mamma, che le sue poesie mi scaldavano il cuore, quando ero triste. Non c’è neanche la nonna, non c’è nonna Minnie. Non so dove siano. Qui non c’è nessuno.

Ci sono solo io, ma non sento più voci, né rumori, né luci. Non ci sono tutti quelli che mi hanno preceduta; non ci sei tu, non riesco a vederti. Non ci sono le persone che sono vive, nel mondo. Non ci sono le persone che se ne sono andate via dal mondo. C’è solo un silenzio immenso, nel quale da sette anni penso le stesse cose. Così come fai tu, sulla terra”.

“Penso e ripenso a quegli anni passati sulla terra, dentro la vita. Gli unici che hanno avuto colori, sapori, odori, gioie, dolori. Non vorrei farti diventare triste, Giannino, ma qui è come un circo quando si spengono tutte le luci, dopo lo spettacolo. Non c’è nulla, qui. C’è solo silenzio. Come in cima alla salita di San Francesco, sopra Fiesole, se ci vai d’inverno”.

“Non c’è nulla, qui” prosegue il tuo messaggio, mamma. E lo sento chiaramente, adesso, mentre il paese è finito, e cammino in una specie di sentiero, dritto fra le montagne che sembrano statue gotiche, alte e magre.

La sento, la tua voce. Non c’è nessuno sulla strada, e fra poco incontrerò il trampolino per il salto con gli sci, quello scivolo immenso da cui esseri umani si lasciano cadere, a velocità vertiginose, e poi spiccano il volo.

Chissà se c’è un trampolino come quello. Che se uno ha abbastanza coraggio può arrivare da te. “Non c’è nulla”, prosegui. “Non c’è musica, non c’è neanche un pianoforte scordato. Ci sono io, esisto in qualche forma che non capisco, e questo non è l’inferno, non ci sono fiamme.

C’è solo un freddo immenso, la mia paura. Ci sono solo i miei ricordi. Quelli che ti potrei dare, e che tu non hai. Ma non so come arrivare a te. Non so più come chiamarti, non so più come farti avere queste parole.

Io non lo so che cosa sono questo fésb, fésbu come dici tu. Io so solo che sono finita qui, in questo silenzio grande come un oceano, grande come tutto l’infinito, l’infinito a cui ho cercato di non pensare mai, tutta la mia vita”.

Adesso ero proprio davanti al trampolino olimpico, montagna fra le montagne. Buio, nella notte. Nessun faro a illuminarlo.“Non so come uscire da questo luogo, che non ha sotto né sopra, né lontano né vicino”, dici. “Non le sento più le sirene dell’allarme aereo, non sento la voce di mio padre che mi dice che andiamo in piazza, a prendere un caffè con il maresciallo, il suo amico di Capri.

E non sento più neanche la tua voce, Giannino. Questa morte è una gabbia fatta di buio e di silenzio, e non so come uscirne”.

“Non c’è il Paradiso, non c’è. Quando muori, c’è l’infinito del silenzio. E c’è la pazienza infinita di ripercorrere gli stessi ricordi, che ogni volta cambiano, diventano diversi. Ogni volta mi viene in mente qualcosa di nuovo, mi viene in mente come camminavi, o come correvi da bambino.

Vorrei tornare su quel cavalcavia, dove ti ho detto che tutti gli uomini sembravano formiche. Vorrei avere quarant’anni e tenerti per mano. Vorrei che tu sapessi quello che non sai, che non saprai mai di me”.

“Addio, Puccettino, stai tranquillo. Quando sarà il momento, non te ne accorgerai nemmeno. Non fa male. E poi non ci puoi fare nulla”. Tornai verso l’albergo, camminando piano. Il trampolino era sempre più lontano. Poi ti sento ancora. “Non temere nulla, Giannino. La strada sarà lunga, e piena di luci sconosciute. Ma tu andrai avanti, e lascerai dietro di te la paura”.

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