Min Jin Lee, Pachinko

DI MARIO MESSINA

Il termine “pachinko”, che dà il titolo a quest’opera, lo ritroviamo per la prima volta a metà testo con una definizione apparentemente neutra.
Secondo la nota con questa parola ci si riferisce ad un gioco d’azzardo giapponese equiparabile al flipper (pag. 292).

Bisogna, però, continuare a scorrere le pagine del libro per capire come questo gioco assuma, in realtà, un valore simbolico ben più pregnante
Si trattava, infatti, di <<giocare a qualcosa che lasciava spazio alla casualità e alla speranza>> (pag.353).

Un modo, insomma, per fuoriuscire dal tracciato seminato dal destino.
Infausto, implacabile ma, soprattutto, universale.
Se nella prima parte del testo, infatti, l’attenzione è tutta concentrata sulla sorte in cui versa il genere femminile (<<il destino di una donna è soffrire. Soffrire e basta>> pag. 290).

L’evoluzione della saga familiare oggetto della narrazione lascia intendere come questa cappa gravi su tutti i cosiddetti “chosenjiin”: i coreani residenti in Giappone. A prescindere dalla generazione e dal sesso.
Il periodo preso in considerazione dalla narratrice non lascia spazio a dubbi: 1910-1989.

Ben più del cosiddetto “Secolo breve”.
Ben oltre il periodo coloniale giapponese.
Il pachinko diviene, pertanto, l’ unico recinto in cui un coreano può muoversi.
Lavorare ed investire in una attività malfamata perché altro non è concesso. Di fatto, il suo ghetto.

Come afferma uno dei protagonisti:
<<in Giappone posso guadagnare tutti i soldi che voglio ed essere bravo quanto mi pare, resto uno sporco coreano come tutti gli altri>>(pag. 454).
Una logica razziale così ferrea che, ahimè, neanche l’ investimento in istruzione riuscirà a scardinare.

Almeno, purtroppo, finché ogni uomo verrà giudicato secondo una etichetta basata sul suo passaporto piuttosto che sulle sue azioni.
Per quanto riguarda, invece, il versante stilistico il libro non si segnala per un linguaggio particolarmente ricercato o per costruzioni particolarmente ardite.

Quasi assenti sono le frasi iconiche che tendono a rimanere impresse.
Il suo pregio migliore consiste, però, nella gestione di quanto narrato.
Nella capacità, cioè, di saper narrare le vicende di tre generazioni di coreani lungo un intero secolo con grande naturalezza e coerenza.

Una veridicità che piace al lettore che diviene spettatore curioso ed interessato.

Immagine tratta dal web

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