Passi incerti che riempiono il silenzio. Un anno dopo, cosa è cambiato?

DI ANNA LISA MINUTILLO

 

È un uomo, solo, quello che attraversa una Piazza San Pietro, irreale, bagnata dalla pioggia, lucida, quasi magica ma infinitamente silenziosa.

È un uomo che sente il peso della paura del mondo, che ha il fiato corto, non si sa se per l’affaticamento fisico, se per la commozione, se per entrambe le cose.

È un uomo che si rivolge a Dio, qualunque esso sia, per ognuno di noi, ovunque risieda, in qualsiasi gesto si nasconda e gli chiede di non abbandonarci nella tempesta di questi giorni dove è calata una sera che sembra non avere mai fine.

È un uomo che mette la forza nelle parole che pronuncia, alternandola alla debolezza fisica del suo corpo che possiamo evincere in ogni suo gesto.

È un uomo che dimostra e mostra quanto a poco servano gli orpelli nella fede, pochi elementi, hanno il potere di riempire il vuoto, di regalare atmosfera, di diffondere parole che giungono, perché non distratte, a destinazione.

È un uomo che fatica a deambulare, che osserva l’immagine di questo crocifisso che pare piangere lacrime che arrivano dal cielo, che bacia i suoi piedi e invita ad avere fede, a non remare da soli proprio perché siamo tutti sulla stessa barca.

È un uomo che racchiude in questa piazza silenziosa e bagnata, tutta l’immensita’ del mondo, facendola specchiare, per consentirle di guardarsi negli occhi davvero, di vedersi per ciò che realmente è.

È un uomo che benedice l’intero mondo avvolto nel suono delle ambulanze che sferzano l’aria con il loro incessante suono, con la loro corsa.

Sospesi, in bilico, disorientati, certi di vivere in un mondo malato, che ora è tornato a respirare senza il nostro intervento distruttivo, con meno inquinamento, con meno rumore, con meno disattenzione, ci sta facendo comprendere che ora i malati siamo noi.

Siamo malati di incuria, di arroganza, di individualismo, di boria e strafottenza, di conclusioni facili per problemi difficili.
Siamo malati di esibizionismo, di clientelismo, di tracotanza ed autoproclami.

Siamo malati di supponenza, ci crediamo sicuri di tutto e non siamo sicuri neanche di noi stessi.
Siamo malati di povere interpretazioni e pretendiamo ruoli che spettano a navigati attori.
Siamo malati di grottesca faciloneria quando a fare le spese delle nostre maldicenze sono gli altri, guai se toccano noi…

Seguiamo crocifissi, vangeli, Santi e Madonne strumentalizzati, ostentati da chi farebbe qualunque cosa pur di ottenere qualche voto in più.

Quegli stessi Santi vengono dissacrati con le azioni pesanti, con i pensieri terribili di muri da innalzare, divisioni da attuare, razzismo e odio da seminare, e della fede, della speranza, della carità cristiana tanto ostentata, resta solo il nulla ad affogare in occhi avidi e sporche mani.

Siamo malati e non solo di virus che cercano di farci capire agli arresti domiciliari come si sta, ma di cecità assoluta per l’altro, per ciò che ci circonda, per la nostra stessa vita.

È un uomo solo, che porta sulle spalle il peso di un’ umanità allo sbando, che mostra radici colme di tenerezza da affondare in marmi che possono diventare friabili, che prega per noi e con tutti quei noi che hanno compreso che non ci si può salvare da soli.

È un uomo solo, che in una sera di Marzo, dilata il tempo, regala bellezza, ferma la storia e ci insegna ciò che dovremmo sapere già ma che abbiamo dimenticato: non affondiamo nel mare della superficialità, remiamo insieme verso orizzanti di cui ci prenderemo cura, perché, solo insieme si può!
Queste le mie parole, un anno fa, ed oggi?

Abbiamo superato i centomila decessi solo in Italia, abbiamo cercato di osservare le regole, non conosciamo più la gioia di un abbraccio, di un bacio.

Evitiamo le persone invece di accoglierle, ci indigniamo per provvedimenti scarsi e inefficaci, attendiamo un vaccino che resta incastrato tra le maglie della burocrazia e i «furbetti» che ne beneficiano al posto degli anziani e dei più fragili.

Osserviamo chi, incurante di tutto e sprezzante del pericolo, continua ad uscire, a partecipare a festini privati, senza tenere conto che questi comportamenti si ripercuoteranno su tutti noi.

Speriamo di riuscire a vedere il mare, di avere qualche giorno di relax strameritato.

Continuiamo a sentire il suono di queste ambulanze che si riempiono sempre più di amici e parenti.

Non cantiamo più sui balconi, siamo stanchi, depressi, ansiosi e non riusciamo a riposare.

Continuiamo ad assistere a femminicidi, atti violenti, truffe e malefatte.

Siamo ancora qui, tra le paure che ci trattengono, i dubbi che ci attanagliano, le ansie che ci avvincono.

Ci ripuliamo le coscienze, dedicando una giornata alle vittime del covid, facciamo un minuto di silenzio, e stiamo in silenzio da una vita, proprio e soprattutto, quando dovremmo parlare, denunciare, fare…

Non è cambiato molto, continuiamo a vivere male ed a prediligere lo stile di vita che adottavamo prima dell’arrivo del bastardo, e lui, non sa più come dircelo che così proprio non va bene.

L’uomo solo un anno fa’ è ancora solo, così come lo siamo noi che avremmo voglia di tornare a vivere ma non dimentichiamo di non essere soli al mondo, ed evitiamo incontri, uscite senza motivi validi, gel disinfettanti e mascherine sempre indossate correttamente…

Non aspettiamo che il bastardo ci molli senza fare nulla per combatterlo, il problema è cercare di far capire, a chi fa danno, che può diventare più pericoloso di lui, nonostante la strafottenza non richiesta!

Immagine tratta dal web

Anna Lisa Minutillo
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Pubblicato da Anna Lisa Minutillo

Blogger da oltre nove anni. Appassionata di scrittura e fotografia. Ama trattare temi in cui mette al centro le tematiche sociali con uno sguardo maggiore verso l'universo femminile. Ha studiato psicologia ed ancora la studia, in quanto la ritiene un lungo viaggio che non ha fine.