Pensioni pagate in più: l’Inps può chiederne la restituzione?

di Davide Longo

Ogni anno l’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale -altresì noto come I.N.P.S.- invia a milioni di italiani richieste di restituzione di pensioni corrisposte negli anni passati, adducendo di averle erogate indebitamente (per intero o in parte).

Può accadere, infatti, che un pensionato venga chiamato a restituire importi ricevuti molti anni prima, pure di consistente entità, magari in un momento in cui non disponga di ingenti risorse economiche.

Vi sono, però, alcuni requisiti essenziali che regolano la facoltà dell’ente di previdenza di richiedere indietro le somme già corrisposte che devono essere rigorosamente osservati -a pena di illegittimità della richiesta stessa- da parte dell’istituto erogante.

Ebbene, il presente elaborato si pone l’obiettivo di illustrare quando la richiesta dell’I.N.P.S. possa reputarsi legittima e quando invece non possa ritenersi tale, soffermandosi a tale scopo sulla principale normativa di riferimento nonché sull’analisi della giurisprudenza intervenuta di recente sulla presente tematica.

Il pagamento dell’indebito ex art. 2033 c.c.

Come è noto, il disposto di cui all’art. 2033 del Codice Civile prevede al 1° comma che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato”, specificando poi al 2° comma che la buona o la mala fede del ricevente assume rilevanza soltanto ai fini della quantificazione degli interessi, senza inficiare invece la legittimità della restituzione.

Alla stregua di tale norma di carattere generale, l’I.N.P.S. asseriva che anche laddove gli indebiti pensionistici fossero stati arrecati da errori dell’ente previdenziale non riconducibili ai pensionati (o quantomeno da loro non riconoscibili), malgrado ciò essi sarebbero stati tenuti alla restituzione degli indebiti pensionistici.

La normativa speciale ex art. 52 Legge n. 88/1989 ed art. 13 Legge n. 212/1991

Sennonché, il settore previdenziale è stato profondamente riformato e, tra le altre cose, ha consentito di introdurre una normativa di carattere speciale in deroga al disposto di cui all’art. 2033 c.c.

Detta normativa, in particolare, è rappresentata dall’art. 52 della Legge n. 88/1989 e dalla successiva norma di interpretazione autentica di cui all’art. 13 della Legge n. 212/1991.

La prima delle norme citate così recita: “Le pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni obbligatorie sostitutive o, comunque, integrative della medesima, della gestione speciale minatori, delle gestioni speciali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni, nonché la pensione sociale, di cui all’ articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, possono essere in ogni momento rettificate dagli enti o fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione.

Nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento modificato, siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato. Il mancato recupero delle somme predette può essere addebitato al funzionario responsabile soltanto in caso di dolo o colpa grave”.

Il successivo art. 13 della Legge 412/1991, invece, ha in seguito fornito un’interpretazione autentica del citato art. 52 della Legge n. 88/1989, benché la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 39 del 1993, lo abbia in seguito dichiarato illegittimo nella parte in cui prevedeva l’applicazione retroattiva della norma, così posticipando i suoi effetti alla data della sua entrata in vigore.

In ogni caos, il predetto art. 13 così dispone: “Le disposizioni di cui all’articolo 52, comma 2, della legge 9 marzo 1989, n. 88, si interpretano nel senso che la sanatoria ivi prevista opera in relazione alle somme corrisposte in base a formale, definitivo provvedimento del quale sia data espressa comunicazione all’interessato e che risulti viziato da errore di qualsiasi natura imputabile all’ente erogatore, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato. L’omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano già conosciuti dall’ente competente, consente la ripetibilità delle somme indebitamente percepite”.

Al 2° comma è stabilito inoltre che l’ente di previdenza “procede annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l’anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza”.

Tra l’altro, il carattere di specialità della normativa in materia previdenziale -rispetto alla disciplina generale del pagamento dell’indebito- è stata di recente ribadita di recente dalla Corte di Cassazione, la quale ha ricordato che la […] L. n. 88 del 1989, art. 52 [è] espressione di un principio generale di irripetibilità delle pensioni (Cass. n. 328/02), perché la disciplina della sanatoria è globalmente sostitutiva di quella ordinaria di cui all’art. 2033 c.c. […]” (Cass. Civ. n. 482/2017).

L’analisi del quadro normativo

Esaminando più compiutamente il quadro normativo sopra illustrato, si evince che l’I.N.P.S. potrà fondatamente richiedere la restituzione degli indebiti pensionistici qualora si verifichino le seguenti condizioni:

1) il pagamento delle somme a titolo di ratei di pensione sia stato eseguito in forza di un formale e definitivo provvedimento;

2) sia stata effettuata la comunicazione del provvedimento stesso all’interessato;

3) si sia verificato un errore di qualsiasi natura non imputabile all’ente erogatore;

4) in caso di indebiti determinati da errori nella valutazione del reddito dei pensionati, non determinati da comportamenti dolosi, l’I.N.P.S. dovrà aver effettuato ogni anno le verifiche sulla situazione reddituale dei beneficiari ed aver successivamente esercitato la relativa azione di recupero entro e non oltre l’anno seguente;

5) in ogni caso, quando vi sia stato dolo da parte dell’interessato.

L’errore non imputabile all’ente e il dolo del soggetto beneficiario

Occorre chiarire cosa si intenda per “dolo” del beneficiario e quando esso vada distinto dall’errore imputabile esclusivamente all’ente.

L’accezione di dolo, infatti, include – oltre ai casi di attività illecita dell’interessato (rilevanti anche in sede penale e che fanno sorgere l’obbligo di denuncia all’Autorità giudiziaria) – anche l’indicazione di dati incompleti o l’omissione di denuncia di circostanze incidenti sul diritto o sulla misura della prestazione, sempre che l’omissione non riguardi atti o fatti già noti all’Istituto.

Senza dubbio, l’I.N.P.S. avrà diritto di recuperare le somme indebitamente versate laddove il pensionato abbia omesso di comunicare all’istituto fatti che avrebbero potuto incidere sul diritto alla pensione, o sul suo importo, non potendosi imputare a quest’ultimo alcuna responsabilità dell’errore.

Se invece l’interessato aveva già comunicato all’istituto tutto ciò che incideva sul suo diritto e sull’importo della pensione, ma l’Inps aveva comunque continuato ad erogare somme che non gli spettavano, l’ente non potrà richiedere la restituzione di quanto corrisposto in eccesso in quanto era tenuto a verificare la situazione reddituale del pensionato.

Un caso concreto di comportamento reticente del beneficiario, da equipararsi ad un comportamento doloso, si ha invece quando il soggetto riceva una pensione esageratamente eccessiva in rapporto allo stipendio percepito durante il periodo di lavoro, risultando inverosimile che l’interessato non si sia avveduto dell’errore.

Su questo punto, infatti, la giurisprudenza di merito ha dedotto che “In una situazione siffatta, in cui il beneficiario della pensione abbia omesso di segnalare una evidentissima discrasia nella liquidazione provvisoriamente eseguita dall’INPS, facilmente ravvisabile a ragione della clamorosa discrepanza, rilevabile dunque senza sforzo e con i connotati dell’ovvietà, tra stipendio ricevuto in costanza di lavoro e pensione successivamente erogata (nel caso concreto nella misura di quasi il doppio), non vi è più ragione per tutelare ad oltranza, e cioè oltre il termine annuale di cui sopra detto, l’affidamento del percipiente il quale, a fronte della peculiarità della situazione nei termini sopra descritti, abbia dolosamente omesso di segnalare a1l’INPS l’errore commesso in sede di liquidazione provvisoria e la necessità di correggerla prima di procedere a quella definitiva. In una situazione di provvisorietà della liquidazione, insomma, ancorché protrattasi nel tempo oltre l’anno, non vi è ragione di tutelare ad oltranza chi abbia voluto coscientemente approfittare di un errore clamorosamente evidente e ben riconoscibile dell’Ente erogante la pensione” (Corte Appello Trento n. 24/2017).

In definitiva, bisognerà valutare l’entità dell’errore commesso dall’ente previdenziale: se di entità modesta, non potrà desumersi il dolo del soggetto beneficiario, diversamente -laddove detto errore abbia determinato l’erogazione di una pensione eccessiva rispetto allo stipendio percepito in precedenza- non è plausibile che il soggetto non si sia accorto dell’errore.

L’onere della prova nel giudizio di ripetizione dell’indebito

In tema di onere probatorio sull’irripetibilità o non dell’indebito previdenziale, la Corte di Cassazione si è di recente pronunciata (v. Sentenza Cass. Civ. 1228/2011; Cass. Civ. Sezioni Unite n. 18046/2010), statuendo che nel caso in cui sia il pensionato a richiedere l’accertamento negativo della sussistenza dell’obbligo di restituire quanto percepito, quest’ultimo dovrà provare l’esistenza di un titolo che consenta di qualificare, come adempimento, quanto corrispostogli.

D’altro canto, l’ente previdenziale dovrà indicare invece -nel provvedimento amministrativo di recupero del credito- sia gli estremi del pagamento che le ragioni che non legittimerebbero la corresponsione delle somme erogate, consentendo in tal modo all’interessato di effettuare i necessari controlli sulla correttezza della pretesa.

Il pensionato, pertanto, non potrà limitarsi ad eccepire che l’I.N.P.S. non si è attivato annualmente per la verifica delle situazioni reddituali ex art. 13 L. 412/91, 2° comma, ma dovrà provare altresì che l’indebito era inesistente o che -seppur esistente- doveva imputarsi ad un errore determinato dall’erronea valutazione dei redditi già comunicati, o comunque conosciuti, dall’istituto di previdenza.

Il termine di prescrizione dell’azione restitutoria

Di regola, il termine prescrizionale nell’azione restitutoria degli indebiti pensionistici è quello ordinario di dieci anni che decorre -quando l’indebito sia da ricollegare a situazioni che dovevano essere state comunicate dal pensionato- dalla data della comunicazione stessa.

Tuttavia, qualora la domanda restitutoria tragga origine da errori nell’ambito del calcolo dei redditi del pensionato, in quest’ultimo caso è invece previsto un termine di prescrizione ridotto ad un solo anno.

Tale termine annuale, infatti, decorrerà dall’effettiva conoscenza -o dalla concreta possibilità di conoscenza da parte dell’istituto- degli elementi necessari alle operazioni di recupero, ovvero dalla data di esito delle verifiche della situazione reddituale del soggetto, restando inteso che l’I.N.P.S. sarà pur sempre obbligata ad effettuare i controlli ogni anno.

Si osservi, inoltre, che il termine di prescrizione annuale non opera in riferimento ai trattamenti assistenziali (quali ad es. l’assegno sociale) bensì solo a quelli previdenziali, posto che la normativa di carattere derogatorio di cui all’art. 13 L. 412/1991 non risulta applicabile per analogia alle fattispecie similari a quelle previste dalla norma medesima.

Di recente, infatti, la giurisprudenza di merito, in relazione ad un caso analogo, ha ribadito questo concetto nei termini che seguono: “In concreto la parte ricorrente, per il caso in esame, ha invocato a sostegno delle domande azionate l’operatività dell’art. 13 L. n. 412/1991 ed ha eccepito la prescrizione ordinaria del diritto dell’Inps di ripetere le somme erogate a titolo di prestazioni assistenziali. Ebbene, detta disposizione non può trovare applicazione in questo caso, essendo vincolante per le sole prestazioni previdenziali e non per la fattispecie in esame ascrivibile alla tipologia dell’indebito assistenziale. […] sia la pensione sociale che la maggiorazione e l’aumento sociale non possono che qualificarsi quali prestazioni assistenziali, stante la loro funzione eminentemente sociale (sent. Tribunale Castrovillari n. 454/2017).

Le modalità di recupero degli indebiti pensionistici

In ordine alle modalità alternative con cui l’ente previdenziale può procedere al recupero delle somme indebitamente erogate, se ne possono concretamente individuare due: la compensazione e la trattenuta di ratei di pensione.

Circa la compensazione, è dato rilevare che non possono essere oggetto di compensazione i crediti dovuti all’interessato a titolo di assegni al nucleo familiare, pensione o assegno sociale e neppure i trattamenti di invalidità civile, sempre che non si tratti di somme erogate per prestazioni identiche a quelle per il quale deve essere operata la compensazione.

In merito al recupero mediante trattenute sulle prestazioni previdenziali, si devono poi osservare i seguenti limiti: l’ammontare delle trattenute sulle prestazioni pensionistiche deve essere limitato ad un quinto dell’importo della prestazione medesima; il recupero sulle prestazioni pensionistiche deve far salvo in ogni caso l’importo corrispondente al trattamento minimo; le somme da recuperare non possono essere gravate da interessi, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato.

Nel caso in cui il soggetto sia titolare di più trattamenti pensionistici, la trattenuta di un quinto deve essere operata su ciascun trattamento, fermo restando che il limite del trattamento minimo dovrà essere salvaguardato sul totale delle prestazioni.

A sostegno di quanto sopra esposto, peraltro, la giurisprudenza di legittimità si è pronunciata rilevando che “In tema di indebito previdenziale, l’Inps, salvo il diritto di avvalersi dell’azione di ripetizione di cui all’art 2033 c.c., può recuperare gli indebiti e le omissioni contributive anche mediante trattenute sulla pensione, in via di compensazione, col duplice limite che la somma oggetto di cessione, sequestro, pignoramento o trattenuta non superi la misura di un quinto della pensione, assegno o indennità e che sia fatto, comunque, salvo il trattamento minimo di pensione: tale principio opera anche con riguardo agli arretrati di pensione o di trattamento minimo, nè incide su di esso l’art 6, comma 11-quinquies, del d.l. n. 463 del 1983, da riferire esclusivamente alla indebita percezione della integrazione al minimo e pertanto non contenente una deroga ai limiti vigenti, indicati dall’art. 69 legge n. 153 del 1969” (v. Cass. Civ. n. 206/2016).

Cosa fare in caso di richieste di rimborso illegittime

In ultimo, occorre soffermarsi su cosa debba fare in concreto il pensionato che assuma di aver ricevuto dall’I.N.P.S. una richiesta di restituzione illegittima.

E’ consigliabile, innanzitutto, rivolgersi ad un legale specializzato nel settore previdenziale che dovrà verificare la fondatezza o meno della richiesta restitutoria avanzata dall’ente di previdenza sociale.

Dopodiché, se del caso, sarà necessario presentare un ricorso amministrativo preliminare direttamente presso l’I.N.P.S., essendo tale passaggio una condizione di procedibilità imprescindibile per poter poi eventualmente agire in giudizio nei confronti dell’istituto.

Soltanto in caso di riscontro negativo da parte dell’ente, ovvero di suo silenzio diniego, sarà possibile adire le vie giudiziarie nei confronti dell’I.N.P.S., onde richiedere l’accertamento negativo delle pretese restitutorie oggetto di contestazione.

da SalvisJuribus

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