Per qualcuno il femminicidio non esiste, quanto ci piacerebbe fosse davvero così

DI MARIA RONCA

Il femminicidio non esiste.

Spesso lo sentiamo dire: “Voi femministe parlate a vanvera”. Tanto per chiarire non siamo femministe. Vorremmo tanto sbagliarci, avere torto marcio e cambiare mestiere.
Dinnanzi a un altro femminicidio queste frasi stonano e spostano l’attenzione e fanno venire l’ulcera. Un modo come un altro per deresponsabilizzare l’uomo, come se cambiasse la visione, se fosse, poi una donna a commettere questi reati atroci e vili.

La categoria al maschile o al femminile non cambia le cose e a morire sono sempre e solo troppe donne. Dimostrare teorie contrarie é l’esatto opposto che azzerare i numeri da paura.
Continuare e non fermarsi, perché sensibilizzare e promuovere non sia un punto, ma l’arma vincente per combattere meccanismi insiti in una società negazionista e fin troppo permissiva.

In seno alla presa in carico, c’è un’assistenza a tutto tondo che non può limitarsi alla denuncia e all’isolamento a vita. Si deve necessariamente andare oltre. Il contenimento della libertà dell’altro, in funzione di tensioni non risolte e non accettate diventano sedimenti inospitali e residuali trascinamenti, nell’uscita definitiva da una relazione malata.
Vittima e carnefice sono due entità, con due pensieri e due soluzioni.
L’uno e l’altro hanno diversi tempi di elaborazione e di risoluzione. La vita oltre la relazione, oltre il distacco mentale e fisico. La ricostruzione del proprio sé, del proprio contesto di riferimento, meccanismi di chiusura e di apertura da ridefinire, senza l’altro la vita continua e in meglio.

Non é una fine é un inizio, di conseguenza vedersi nell’unicità e unitarietà di un’esistenza senza dipendenze.
I sentimenti, le aspirazioni, i desideri, le mancanze, le soluzioni possibili sono rivisti alla luce del dopo? L’aspetto legale, psicologico e sociale sono riadattati alla nuova condizione o sono cristallizzati e atrofizzati in un tempo morto?
Dove il sistema si blocca e quando é utile monitorare e intervenire?

Il dopo denuncia é il momento più delicato e pertanto, l’allontanamento definitivo rappresenta ancora fonte di dipendenza affettiva, di dolore e di risentimento, consapevole e non, é importante che entrambi riprendano la vita in mano, é un passaggio fondamentale. La routine che si rompe é uno spazio vuoto da riempire, un corollario di ricordi e di emozioni contrastanti da definire in maniera cosciente, la possibilità di vedersi, oltre la coppia.

Non si può voltare pagina dall’oggi al domani, occorre un lavoro su se stessi. Riappropriarsi di un tempo utile a definire le priorità, le esigenze e a colmare distanze.

Maria Ronca Sociologa

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