Perdere l’amore

DI ANTONIO MARTONE

Vedo costantemente donne e uomini vessati dal partner con violenze che, soltanto in pochi e fortunati casi, sono rese esplicite. In altri, e più numerosi, appaiono invece del tutto occulte ma non per questo meno oppressive e intollerabili. Anzi, è noto, il potere più forte e pericoloso è proprio quello che non appare.

Bisogna concluderne che, quando si vive una relazione d’amore, si accetta anche il dolore. Perché ciò accade? Perché ci si riduce a soffrire pur di non perdere l’altro? Perché, insomma, si accetta il male?

Io credo che accada perché si pensa di non avere scelta. Perché l’altro è, deve essere ciò che ci completa. E’ lei/lui e non possono esservi dubbi. Il dolore diviene allora un mezzo per adattarci all’altro, e l’altro è il nostro completamento.

Siamo abituati a una certa presenza nella nostra vita – quella presenza riempie il nostro vuoto. Se la perdiamo, dovremmo ricominciare. Non possiamo, né dobbiamo perché ormai l’altro (almeno è quello che sentiamo) fa tutt’uno con noi.

Grazie all’immaginazione, infatti, idealizziamo quella persona e la facciamo diventare la metà perfetta, l’unica capace di completarci. Esattamente, quella che abbiamo sempre sognato e che il destino aveva preparato per noi. Se la storia finisse, dovremmo rimetterci in gioco e non ce ne sentiamo capaci.

Siamo fragili, deboli e non ci amiamo abbastanza, o non abbiamo sufficiente lucidità per comprendere, che l’intero che abbiamo creato con l’altro in realtà non è affatto un intero. Siamo soltanto noi che lo sentiamo in quanto tale, ma in realtà ad esso siamo solo e semplicemente abituati.

Anzi, il fatto che soffriamo è l’evidente dimostrazione che stiamo lavorando per adattarci a ciò che non ci sta bene – proprio come ad una scarpa più stretta o ad una gonna più larga. Ci stiamo, appunto, forzando di ingrassare o dimagrire per adattarci ad un indumento che non ci si addice.

E l’illusione sta nel credere che quell’indumento sia l’unico per noi.
Non ci amiamo abbastanza. Non possiamo amarci abbastanza, poiché la nostra identità è cava all’interno. Il vuoto che sentiamo ci dice che lasciare l’altro significa aprire voragini dentro di noi. Voragini sanguinanti.

Non vogliamo rinunciare all’idea che ci siamo fatti dell’altro, perché quell’idea è noi stessi e fa tutt’uno con la nostra malattia, e la nostra malattia fa tutt’uno con la nostra vita.
E anche se riuscissimo a trovare la forza, soffriamo lo stesso poiché, insieme all’altro, va via per sempre anche una parte di noi. Una parte che non tornerà mai più …

Quando la storia è finita, la vita ci ha sottratto qualcosa. E questo qualcosa rimarrà perduto per sempre. È una parte di noi che è morta. Perdere un amore, già la prima volta, significa iniziare a morire!
È questo il motivo per cui distaccarsi da un amore è difficile, talvolta impossibile, e quando lo si è fatto, il processo di cicatrizzazione emotiva è più lungo di quello gioioso che ci aveva fatto innamorare. Come dice una bellissima canzone napoletana “Ferita d’amore non si sana!”.

Bisognerebbe almeno riuscire a dare un senso al dolore. Pensare cioè che, sebbene l’altro è perduto e una parte di noi stessi con lui, siamo tuttavia diventati più esperti di prima. Siamo andati più avanti nel cammino della conoscenza. Anche questa in fondo è un’illusione, poiché nulla potrà mai ridarci ciò che, perdendo l’altro, abbiamo perduto di noi stessi. E, tuttavia, le illusioni sono necessarie come (più del) le verità.

Questo almeno (forse) potrebbe mitigare gli abissi di vuoto ora aperti. E, in ogni caso, è questa la strada che sola consente alla nostra emotività l’incontro con un nuovo amore – l’ennesima illusione di unità.

Menzognera anche questa – chissà se più o meno della precedente – e tuttavia necessaria.

 

scrignodipandora
Latest posts by scrignodipandora (see all)

Pubblicato da scrignodipandora

Sito web di cultura e attualità