Reale e immaginario per una breve dissertazione vita/morte

DI MARINA AGOSTINACCHIO

Leggo del libro di Marino Niola dal titolo ”Anime. Il Purgatorio a Napoli” (con un’antologia di testi letterari curata da Elisabetta Moro, ed. Meltemi, pagine 191, € 18) e della sua collocazione in un’epoca in cui si cerca di escludere, e di non nominare la morte, anche grazie all’allungamento della vita stessa, ragion per cui la morte apparirebbe un’ingiusta incursione anche all’interno della sola prospettiva di una longevità esistenziale quasi dovuta.

L’articolo di Gianfranco Marrone, apparso nella rivista online Doppiozero il 4 Luglio scorso è motivo di digressione sulle due categorie vita morte, quali elementi contrapposti dell’esperienza individuale e dell’immaginario di ciascuno di noi.

Ma cos’è vita e cosa è morte? Presenza/assenza; sensorialità/vuoto; contatto corporeo/scomparsa; avanzamento/improvvisa frenata. Mi torna alla mente, a proposito di quest’ultimo dualismo posto in evidenza nel gioco degli opposti, “Orfeo in paradiso”, il romanzo del 1967 di Luigi Santucci.

La trama ci parla di Orfeo che, sconsolato per la morte della madre, incontra un signore, presumibilmente il diavolo, con cui scende a patti: Orfeo potrà ripercorrere la vita della madre senza però modificare il vissuto dei suoi anni.

Il protagonista, così, potrà rivivere il tempo della madre già prima che essa partorisca il figlio, ne seguirà gli eventi e desidererà cambiarne il destino per evitarne le sofferenze (“Orfeo si decide a un atto altruistico, dettato da amore: sconsiglia alla madre ragazza di sposarsi con l’uomo con cui avrebbe avuto un figlio, lo stesso Orfeo, ma che l’avrebbe fatta soffrire per tutta la vita”).

Il paradiso che crede Orfeo di offrire alla madre, modificandone il percorso di vita, è in realtà una proiezione dell’egoismo di Orfeo che in realtà fatica a di congedarsi dalla madre morta.

L’uomo di strada rifiuta la morte, quale accadimento in un certo momento del proprio e dell’altrui percorso di vita. Lo strappo è vissuto come una lacerazione, una ferita che solo il tempo riesce a ricucire e a cicatrizzare.

La dialettica vita-morte si pone in realtà in una linea necessaria di pensiero se consideriamo il fatto che i due poli si pongono in un rapporto di imprescindibilità uno dall’altro.

Tornando al libro, oggetto della dissertazione, il riferimento al Purgatorio, già annunciato nel titolo del libro di Niola, potrebbe riportarci alla mente l’idea che noi abbiamo di questo spazio di mezzo tra una dannazione e una salvezza.

Perché, sì, il Purgatorio si pone in una dimensione di perdita non definitiva, ci permette la visione di un luogo né troppo lontano per perfezionamento, né irrimediabilmente inabissata per punizione.

Il Purgatorio ci offre ancora la possibilità di un contatto con l’anima invisibile a cui, però, pare possiamo tendere la mano proprio perché essa vive uno stato di transizione lenta.

Nel libro di Niola, si parla del tradizionale antico culto napoletano e tuttora vivo in alcuni quartieri popolari della città di Napoli delle anime purganti.

“Dalle edicole votive disseminate a ogni angolo della città, arricchite con figurine di terracotta in atteggiamento estatico o sofferente, agli ipogei di moltissime chiese dentro e fuori le mura storiche, strabordanti di teschi di morti senza nome (le cosiddette capuzzelle)”, Napoli si fa simbolo di un mondo di ombre, di spiriti sofferenti, che in egual misura delle anime del Purgatorio, sono prese in adozione dalla popolazione viva garanzia così di un possibile intervento ultramondano miracoloso su malattie, vincita alla lotteria, “sistemazione sentimentale”.

E poi leggo ancora di “appestati, appiccati, decollati, marinai, pezzenti, reietti della società che non hanno trovato degna sepoltura e che vagano per il mondo alla ricerca di pace e di salvezza… crani messi in bella mostra del cimitero delle Fontenelle.

Si tratta di una enorme grotta-ossario ubicato sotto il celebre rione Sanità e i cui cunicoli si irradiano fino a Capodimonte.

I devoti si prendono cura di questo mondo sommerso di anime, assegnano loro un nome, ne definiscono l’identità. E le anime accudite e amate potranno avere uno sconto di pena in Purgatorio.

I lunedì, da più di un secolo e mezzo, si assiste a un triste viaggio verso gli Inferi.
Quanto descritto rimanda all’idea di una necessità umana di perpetuazione della vita, di un desiderio di rapporto ancora “caldo” con chi ci ha lasciato, di un forte bisogno di spezzare un silenzio pesante, faticoso da sopportare in chi rimane, un modo per mantenere aperto il colloquio fra i vivi e i morti.

Sempre nell’articolo di Gianfranco Marrone, leggo di Aldous Huxley. Nel suo libro, “Il Mondo nuovo”- (1932), questi ipotizza una società del futuro dove lo stadio finale della malattia e la morte erano ostracizzate, immaginava che era necessario confinarsi in apposite strutture ospedaliere per potersi permettere il disfacimento delle funzioni biologiche e la morte stessa.

Se ci pensiamo bene, durante il periodo più difficile del covid, abbiamo assistito all’allontanamento degli “appestati” dal virus killer dai propri cari.

Nessun saluto, nessun conforto, nessun suono dal vivo potevano accompagnare i propri parenti chiusi nella disperazione e nella solitudine.

Immagine tratta da Pixabay

 

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