Sardegna. Matteo Boe: una storia di omertà

di Giovanna Mulas

Ultimamente penso spesso ad una vicenda che riguardò la Sardegna, quindi il resto d’Italia, nei primi anni 2000. Ricordo la storia di ‘Matheu’ Boe, leader dell’ Anonima nuorese implicato in tristi casi di sequestro di persona. Una storia, quella del Boe e su sua stessa ammissione, “Sulla refrattarietà al potere costituito, con momenti di ortodossa aderenza politica e altri di puro ribellismo”.
L’uomo si trova in carcere quando il 25 novembre 2003 a Lula, suo paese d’origine, la figlia maggiore Luisa Manfredi, studentessa di 14 anni, viene chiamata con una scusa fuori dalla casa di famiglia. Sono le 18.30; è buio. Luisa risponde affacciandosi dal balcone, la ucciderà un unico colpo di fucile calibro 12. Si parlò di faida, di regolazione di conti.

Il Boe apprese dell’assassinio della figlia dai telegiornali, non gli si rilasciò permesso speciale per assistere ai funerali della figlia. La moglie del Boe, e madre, indurita da rabbia e dolore condivisibilissimi; prese a rilasciare, e a catena, rivelazioni a tema attraverso i media: “In paese tutti sanno chi ha ucciso mia figlia”.
Intanto, nel paese, la donna veniva tacciata come ‘esaurita’, ergo persona alla quale non dare credito: il Sindaco in carica, Maddalena Calia, tentò di affondarla tramite titoloni sulle testate regionali: “(la donna, N.d.A.) Rappresenta uno scandalo per l’intera comunità”, “Qui la gente se non parla è perché non sa”, “La signora è sconvolta e non sa quello che dice”.
Si parlò spesso, e non soltanto a Lula, di una madre “Isterica” e reietta, “Non amata da suo marito”. Insomma, di tutto e di più venne sparato al fine di gettare discredito su una madre e moglie già morta, affinché la parola ‘omertà’ non oltrepassasse la dura coltre di nebbie dell’isola.
Ceppo bastardo, il mio sardo, soavemente guastato dall’ombra di ancestrali campanili, da un meticciato senz’anima. Nonostante potature feroci, frequenti e gli incroci dettati dalla vita, continua a rimanere marcio in quelle radici che disconosce.
La donna, ovviamente tutt’altro che pazza e sebbene isolata, ribadì a lungo i suoi nomi; stava nella pesante atmosfera politica creatasi a seguito delle elezioni della Calia, dopo più di dieci anni in cui il Comune era rimasto commissariato, la causa prima dell’omicidio di Luisa.
E stava nella limitata oculatezza degli investigatori l’insuccesso delle indagini. “Limitata oculatezza” perché si trattava di indagare sulla figlia di un fuorilegge o… ?
Del resto chi, più della Manfredi, poteva sapere con certezza? E in un paese di meno di duemila abitanti è assai improbabile che accada qualcosa senza che nessuno se ne accorga. Pure sappiamo che, in certi luoghi, chi parla rischia la vita: in assenza di una garanzia di sicurezza per la persona risulta complesso, se non impossibile, trovare un testimone.
Dunque nemmeno l’assassinio di una minore, innocente sulle traversie del padre, poteva –e puo’- modificare un ceppo guasto, quell’antico sentirsi in colpa davanti alla figura di un carabiniere, anche senza valido motivo.
Il silenzio non è coraggio amici miei…l’omertà non è MAI coraggio, non è difesa e unità nelle genti, non rappresenta ‘svergognare’ il proprio luogo. E’ molto peggio; è qualcosa di più strisciante, subdolo, si nasconde dietro le tende chiuse di certe nonne già capi clan, ritorna nel sapere da bar di oggi, in un parroco, un medico o l’avvocato che tutto raccolgono dal gregge, ma non possono.
O non vogliono.
E’ vittima che si fa carnefice: omertà è volontà di uniformità, gregge e indifferenza ché, tanto, non è toccato a me e quanti dicono il contrario lo fanno perché la vigliaccheria è calda e trasparente; invisibile, corre nuda e inosservata.
Eppure il più grande nemico dei sardi resta il sardo stesso: un’isola invisibile è terra che non esiste, così come i suoi abitanti.

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