Si torna a scuola e ‘Che Dio ci aiuti’

di Chiara Farigu

‘Che Dio ci aiuti’ direbbe la suora della tv ad alunni studenti e docenti che da oggi siedono nuovamente sui banchi di scuola. Il rientro dopo la pausa  per le festività per i bambini/e della scuola dell’infanzia e primaria di primo grado e per il 50% degli studenti delle superiori (il restante 50% seguirà, a rotazione, da remoto)dopo il lockdown autunnale. Ma non per tutti visto che i presidenti di regione hanno deciso la riapertura in ordine sparso.

Un rientro voluto fortemente dalla ministra Azzolina a dispetto della curva dei contagi costantemente in picchiata e nonostante il parere contrario della stragrande maggioranza dei docenti che vedono quelle aule tutt’altro che ‘sicure’.

Diciamolo chiaramente. A parte l’acquisto dei banchi monoposto, su cui è stato detto di tutto e di più, e qualche altro strumento per la didattica, nient’altro, o poco o niente è stato fatto in quasi un anno dal primo lockdown nazionale.

Un’occasione sprecata per eliminare le classi pollaio, ristrutturare gli edifici scolastici pericolanti e quelli non ancora a norma. Per assumere in pianta stabile i precari e restituire un minimo di dignità ai docenti partendo da una retribuzione adeguata per il ruolo ricoperto.

Un’occasione sprecata per ridare lustro all’istituzione scolastica vista da sempre, da tutti i governi che si sono succeduti, la palla al piede della Pubblica Amministrazione.

Un’occasione sprecata per riconoscere finalmente alla Scuola e all’Istruzione, coi fatti e non a parole, il ruolo fondamentale a cui è preposta per la formazione dei futuri cittadini.

La scuola è sicura, sostengono, e tanto basta per riaprire i battenti.  Nonostante diversi dati dicano il contrario. Nonostante il ‘prima’ e il ‘dopo’, legato ai trasporti su cui non si è intervenuto se non poco e male, e agli assembramenti davanti ai cancelli d’ingresso e d’uscita.

Non rimane che sperare  che il maledetto virus, se malauguratamente dovesse far capolino dalla porta d’ingresso avanzi dritto, senza colpo ferire, sino alla finestra lasciata semiaperta per la salutare aerazione anti-covid  per poi dissolversi all’aperto.

‘Che Dio ci aiuti’, appunto. O se proprio non vogliamo scomodare l’Onnipotente per queste piccole faccende terrene, affidiamoci pure alla sorte o al fattore C. Perché è proprio di gran botta di culo che abbiamo bisogno per mantenere aperte le nostre scuole. Covid permettendo, s’intende.

Rimane l’amarezza nel constatare che ancora una volta abbiamo fallito. Un Paese che non si cura del futuro, non ha futuro. E il futuro sono i giovani a doverlo costruire, se messi però in condizione di farlo. Cominciando proprio dalla Scuola.

Ma questo rimane un sogno. Una chimera

Chiara Farigu

Pubblicato da Chiara Farigu

Insegnante in pensione, blogger per passione. Laureata in Scienze dell'Educazione, ama raccontarsi e raccontare l'attualità in tutte le sue sfaccettature. Con un occhio particolarmente attento al mondo della scuola e alle sue problematiche