Storia de l’U. n° 10. (L’U. allor che dal lento piede)

di Paolo Massimo Rossi

Storia de l’U. n° 10. (L’U. allor che dal lento piede)
Lento camminando, L’U. si distrasse, ingannato acusticamente da un rumore di ghiaia sotto le suole, che assuonava il suono di scricchiolanti pietruzze, qual chicchi di miglio da offrire a uccelli semisaltanti, che non sapevano, o sì, che la vita passa, e c’è chi ne approfitta nel.

Che ne sarà di me? Pensava L’U., osservando quegli uccelli, quando sarò vecchio? Mi riconoscerò guardandomi gli occhi in uno specchio scuro, raccattato nel giorno per consonanza morente?
Immaginò non il quando ma il dove: probabile sguiscio in una calca metropolitesca. E lo specchio? Gli cadde dalle mani: vero o virtuale incidente. A ogni modo, non a pezzi, ma in pezzettini agu-taglientuzzi.
Si curvò, lentamente, per raccoglierne i rintracciabili, per polibrillio, resti. Ma restava cupìto dall’idea del sé in via di vecchiezza. Quando lo sarò, confessava proiettando in là l’immagine metamorfica, sarò insopportabile.
Solo le molle molli del letto avrebbero, cigolando, cullato lui e i suoi baffi imbalsamorabili. Proverebbe esclamare l’U. come ultima possibilità: “viva la monarblichìa e merda per gli altri”. Nel senso di: bisogna(va) pur soddisfarsi ad esistere per il dopo, quando en avant lo si è(era) stati! Festival (nel) diletto in attesa. Sarebbe uscito per procurarsi un bastone, utile per l’ora futura e per quella passata, ma inutile nel non-tempo di mezzo.
Un ricordo s’instradò: la sua diletta! L’aveva incontrata, or erano anni. Mai dimenticata, complice, quale ultima chansietà, un genere di conforto farmagonfiabile-ceutico.
Intanto, un superbo tramonto dopo il previsto temporalesco giorno. Sua ancor voluttuosa attesa! Nel ricordo di cinquatanni trascorsi da. Fortunato per scuola mancata: avrebbe disappreso su libri né-manco usati il normale detesto di osservare la bella giovinezza fuggita. Antica ebbrezza, di loro e di altri, per conto dell’io, quella che non ottennero insieme: cose che si osservano e sono. Sobrie e non caste: che la carne sia tutto? Specialmente nell’età nella quale gli amanti di ogni possono con occhi sognanti sognare invedenti. Ausilo alla passione, pria che le rispettive incombenze li separassero(rono). Qualcuno avrebbe poi riconosciuto l’U. come monello giocofacente, propenso a modi senza nome, nel vento, di notte, d’inverno. Nei frammenti di specchio rivide sé, l’U., vecchio infante villoso glabramente offerto ai baci della sua.
L’amore li unì (unirà)
Morte incerta lentamente (verrà).
(Nell’immagine: Fotografia di Paolo M. Rossi)
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