Storia de l’U. n° 16 (Una gita de l’U.)

di Paolo Massimo Rossi

Storia de l’U. n° 16 (Una gita de l’U.)
Dinotte. Facciando la faccia in finestrino ventoso battuto dal vento causa manovellata discesa del vetro nel buio con manodita sinistra, l’U. chiuse’l palprocchia per meglio auscultare le stelle oscurate da nebbiante rumore. Nonecante, ma diretto diritto nel dotto benaudente contro vuoto da cetacaratta appena perata con indolorlaserato aneste-tervento. Otopap-occhio?
Correva, correva, l’auto nella notte stellata (sopra la nebbia viamente), cercando, cercando la luna che faceva nel ciel, (dimmi, che ceva?), godendo di stradauto curvamente deluso agognado(nte).
Il finestrino era stato bassato chilometri dietro. E adesso il vento geloso l’U. usava per (che farò io qui?) non dormientiarsi, tutta la notte o, quanto più, sino a quando le forze non fossero andate, verso il limite (tendente a zero) di stradauto (quella curvanelante già detta). Piatta regione per rapidi passi di piedi (destro o sinistro o terné), o di ruote gommanti, forsan dotati(e) di volontà diligente. Andava, andava l’auto, priva di progetti futuri: perché? Quanta domanda, ficoltosa risposta.
L’U. veva tempo. Il piede premente su pedale premuto, sognando coperte coprenti in previsione dell’ora mai tarda. Dimenticarla? Già-mai.
Correndo, correndo, l’U. si decise. Prevò di tasca la pipa da anni caricata a tabacco da Venere baccante, provò a tirare: rotto il gattello notò, particolare a morìa ritornante, ripararla o giustarla, a mèta arrivato (a Bologna) un’altra ne avrebbe, ipotesi astratta, comprata.
La pipa fece-no che l’U. s’ osservavasse più vecchio, mentre vedeva la strada più dritta, orontezzimata, lontana essente la cibolottà. Incidentosa paura, disastro cipiente, che fare? La distinzione si pose a vedente (Bourdier): mostrando se stessa, fuggì la catastrofa in rima. Si grattò quale scimmia che nel culo (oh, fé trombetta!) strinò la chiave aprente la gabbia, e la porta dell’autiera s’aprì. Gioia del (mo)mento. Di uomo di mondo, oppur vanità, che per aver appena compreso, si vide piucchepperfetto. Ma la questione era altra, e quella che l’U. non ne ebbe nessuna allor sintonò. Quel che importava a l’U., era lo scriba, come persona (tore) vivente. Rimbombo sentito: solo i cattivi scrittori vogliono vivere, mentre i buoni s’ accontisfarrebbero di scribere. Ma l’U. non poteva scribare, se prima conosciuto il mondo non ava.
Scese l’U. in strada di città cittadina. Intorno guardò, lontano s’udì, vicino toccò, linguoso gustò, nasal’odorò. Che fai? Passante strofò. Una pipa (nuova) filmente mostròsi. L’U. l’addentò, Una savinp-luisterlinginte comprò.
In negocomm, commessa magica-bella propò, la prenda, la brenda, la cenda, non rimpiangenda sarà. Perché? l’U. curioso genial-chiesò. Why Not? Quella (CMB) rispondò. Who’s you? L’U. muto frugoso di sguardo studiò. Poi uscì, (sotto il portico pavaglioso), si addentrò nella sua (di l’U.) bella strada. Più avanti in bar d’istoriata vetretta più grande che ina, inentrò. E vide: A un tavolo rotondo rosa confetto con sedie in plastica da fusione, ragazzo e ragazza, in auto-silenzio, bevano da bicchieri lunghi sottili, con fetta d’arancia infilata in bilico e cannuccia sporgente; fissi gli sguardi di là di ogni sidua parola, di ogni graticolante sorriso. Contento s’avviò, sorrisendo a ragazza seduta di fronte a muto seduto che fisso di sguardo guardò.
Paolo Massimo Rossi Scrittore
(Fotografia di P.M. Rossi)

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