Un pezzetto di panettone

DI GIOVANNI BOGANI

 

Restavamo in silenzio, mamma, in quei pranzi di Natale. Non riuscivo a parlarti, e tu ne soffrivi. Era difficile parlarsi. Figuriamoci essere felici. Io accendevo la televisione, e tu ti innervosivi. Lo facevo perché così qualcuno almeno parlava, in quella sala da pranzo.

C’era sempre un panettone, o un pandoro, in alto sul mobile. “Gianni, me lo prendi te?”. Certo, mamma. Ma non ho fame, non apriamolo, lo apriamo un’altra volta. “Ma no, questo dev’essere buono, c’è il cioccolato sopra, e dai, non fare storie”, “sono sicuro che è buono, ma non ho fame…”. E poi lo aprivamo, e ne mangiavi un pezzetto piccolo piccolo, il resto lo chiudevo di nuovo nel cellophane. Un po’ come la nostra vita.

Dopo il pranzo, dicevi “lascia stare tutto lì”, e andavi a fare un riposino. Tutto era finito. Il tuo sforzo per preparare un pranzo di Natale per tuo figlio, il mio sforzo di non arrivare tardi – sempre fallito – e di mangiare anche se non avevo fame – parzialmente riuscito.

Lo sforzo di bere da quei bicchieri di cristallo che tiravi fuori solo una volta l’anno, dove però mettevi sempre lo stesso Tavernello. Ogni tanto ti portavo un vino in bottiglia, e tu eri così contenta.

Poi, alle tre, tutta quella mesta cerimonia era finita, e rimanevano soltanto i piatti sporchi. Li portavo io in cucina, mentre tu protestavi e dicevi che avresti fatto tutto dopo, tanto avevi tutta la sera per mettere a posto. Scivolavi dentro il letto, e io dopo un po’ accendevo la luce del corridoio, e mi chiudevo dietro la porta, per iniziare il mio pomeriggio, con un giro in scooter nella città ancora deserta, finché alle cinque non si sarebbero risvegliati tutti, e le macchine sarebbero tornate nelle strade, come quando tornavano tutti insieme dalle vacanze. Buon Natale, mamma.

Quest’anno, per la quinta volta, Natale sarà senza di te. E senza nessuno. Ma non è grave, non ti preoccupare. Non essere triste. Ce la faccio, ce la faccio sempre. E se mi commuovo a vedere un film alla televisione, da solo in casa, non ti preoccupare. Non è che sono triste. È come quando andavi al cinema, quelle rare volte, e tornavi dicendo “come mi sono divertita”, e aggiungevi: ho pianto tanto. E a me veniva un po’ da ridere, ma adesso ti capisco.

 

 

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