Venezia, incontro con le figlie d’arte Kate Hudson e Charlotte Gainsbourg

DI GIOVANNI BOGANI

Due straordinarie figlie d’arte a Venezia quest’oggi. Kate Hudson, 42 anni, figlia di Goldie Hawn e anche un po’ figlioccia di Kurt Russell, che la ha cresciuta come un padre, nei 37 anni della sua relazione con Goldie Hawn, è la protagonista del film in concorso “Mona Lisa and the Blood Moon” di Ana Lily Amirpour. E interpreta una spogliarellista senza più illusioni né ambizioni, che si imbatte in una ragazza schizofrenica, ma dotata di strani poteri paranormali. Il film arriverà nelle sale italiane distribuito da Lucky Red.

L’altra “figlia d’arte” è Charlotte Gainsbourg, figlia di Jane Birkin e di Serge Gainsbourg: il cantautore maledetto e l’attrice britannica rivelata da “Blow-up” di Antonioni. La Gainsbourg, cinquant’anni, è protagonista, insieme a Tim Roth, del film in concorso “Sundown”, del messicano Michel Franco. Interpreta una madre benestante, che incontriamo in vacanza insieme ai figli ad Acapulco, dove la gente sembra non avere altro scopo che quello di divertirsi. Ma capita anche di morire, freddati da criminali arrivati dal mare a bordo di moto d’acqua.

Incontriamo Kate Hudson in un hotel del Lido, un edificio sontuoso in stile Art Nouveau. E Kate sembra adeguarsi: arriva con un vestito lucente, color crema, che ha qualcosa degli anni Venti. È entusiasta del film, entusiasta di aver lavorato con una regista donna, per la seconda volta di fila, dopo “Music” diretto dalla popstar Sia. È entusiasta di aver contribuito a raccontare questa storia: la storia dell’incontro fra due donne ai margini della società, due outsider – uno è il suo personaggio, l’altro è la ragazzina schizofrenica dai poter paranormali, fuggita dal manicomio.

“E’ facile sentirsi un outsider, specialmente se sei una persona creativa. Le persone che creano, si sentono strane, si sentono ai margini. Io mi sono sentita così per gran parte della mia vita. L’importante, dice, è combattere. “Il mio personaggio, una lapdancer nei locali di New Orleans, è una combattente, una guerriera. E c’è una parte della mia anima molto vicina a questa donna”.

Charlotte Gainsbourg arriva al Lido con una giacca di jeans, eleganza vintage. “Abbiamo girato in un hotel di Acapulco dove tutto sembrava fermo agli anni ’50, sembravamo fuori dal mondo. E questa sensazione ci ha aiutato molto”. Nel creare il personaggio, ha portato i suoi vestiti veri, e – dice il regista – ha aggiunto molto del suo. “No, no”, protesta lei, “ho solo fatto ciò che era sulla pagina del copione”. Ma Franco insiste: “Abbiamo parlato molto della tua storia, abbiamo passato settimane a parlare, e questo è entrato nel film. E non ti ho mai detto ‘come’ interpretare una scena, o come dire una frase, o come impostare un gesto”. Le ha lasciato piena libertà. E forse anche per questo il personaggio somiglia tanto a lei.

Nel film, Acapulco non è il più sicuro dei luoghi: sembra un mondo violentissimo, selvaggio, dove ciascuno è abbandonato a se stesso. Ma Michel Franco precisa: “No, abbiamo girato e ci siamo sentiti perfettamente al sicuro. E il mio film è una lettera d’amore ad Acapulco”. Sarà, però nel film è forte il tema della violenza in Messico, unito a quello di una profonda crisi esistenziale, vissuta dal protagonista Tim Roth. Crisi che ricorda quella del romanzo “Lo straniero”, scritto nel 1942 da Albert Camus.

Il regista Michel Franco, che l’anno scorso a Venezia vinse il Leone d’argento con “Nuevo orden”, e che vinse il Leone d’oro come produttore di “Desde allà” , ammette di averci pensato: “Sì, ci sono richiami allo ‘Straniero’ di Camus: ma non lo dico mai, per paura di sembrare pretenzioso. Il protagonista è estraneo al mondo in cui vive, non ne parla la lingua, ed è straniero anche a se stesso, lascia che le cose gli accadano addosso”.

Immagine tratta dal web

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