Bologna, 2 agosto 1980. Per non dimenticare

DI ANNA LISA MINUTILLO

E’ un giorno come tanti, per molti, c’è chi attende un treno che lo condurrà verso le meritate vacanze, chi custodisce progetti e sogni da realizzare, chi si reca dai parenti, chi cerca solo un po’ di distrazione alle giornate calde, ai problemi della quotidianità.

Moltitudini di abiti colorati, di chiacchiere distese, di attese, di sorrisi.
Persone che trasportano bagagli colmi della loro vita, dei loro ricordi.
E’ solo un attimo, un devastante attimo, che squarcia muri, che riempie di polvere tutto ciò che li circonda.
Calcinacci, muri che si sgretolano, che crollano, che intrappolano, che non lasciano neanche il tempo di comprendere ciò che sta accadendo.

Tutto intorno è caos, grida di disperazione, silenzi attoniti, sguardi che si velano, serenità che si perde, vite che si spezzano.
Lo scoppio è stato violentissimo, ha causato il crollo delle strutture sovrastanti le sale d’aspetto di prima e seconda classe dove erano situati gli uffici dell’azienda di ristorazione Cigar, ma a crollare sono stati anche circa 30 metri di pensilina. L’esplosione ha colpito anche il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario.

Una esplosione causata da una miscela di tritolo e T4 , ha spezzato per sempre la vita di persone che provenivano da 50 città diverse italiane e straniere. Un bilancio tremendo in cui a perdere la vita sono state 85 persone ed in cui ne rimasero ferite oltre 200.
Erano le 10.25 come testimonia l’orologio che è rimasto lì, fermo nel tempo, a guardare lo sfacelo, le scie di sangue, le storie interrotte, immobile, ha fermato le lancette sulla vita che scorre, ha catturato il tempo, quel tempo per non farci dimenticare.

Si cerca di reagire ai primi momenti di sgomento e incredulità, momenti in cui il terrorismo era italiano e le vittime, inconsapevoli, scelte a caso, in una roulette impazzita, quasi come se non fossero vite vere, che avevano il diritto di essere vissute, condivise, realizzate.
Si mette in moto la macchina dei soccorsi, ma anche quella della solidarietà dei cittadini che cercano di fare quanto possono per liberare i malcapitati dalla trappola mortale che li cattura, che vuole portarli via con se.
Si scava, a mani nude, freneticamente, silenziosamente, tutti lì chiamati dal sangue e dall’orrore.
85 persone, con le loro storie, con le loro vite, con quello che fino ad allora avevano fatto e non potranno più continuare a fare.

85 persone come Lina Ferretti che aveva 53 anni e viveva a Livorno col marito Rolando. Casalinga, amava leggere. Sua suocera aveva vinto al lotto e aveva regalato a lei e al marito uno dei pochi viaggi della loro vita. Sarebbero dovuti partire per Brunico il giorno dopo, ma l’albergatore li chiamò: s’era liberata la camera. Anticiparono il viaggio. Lina fu riconosciuta, con fatica, da suo cognato Loriano il giorno dopo. Il marito, gravemente ferito, si salvò.
Oppure come quella di: Viviana Bugamelli, 23 anni, lavorava in un’azienda agricola. Sposata da pochi mesi con Paolo, aspettava un bimbo. Vivevano a San Lazzaro coi genitori. Erano in stazione ad acquistare i biglietti per treno e traghetto per la Sardegna, a settembre. Lo scoppio li uccise entrambi.

Ma anche quella di Sonia Burri, 7 anni, era partita da Bari con i genitori. Era in stazione con loro, i nonni, la sorella Patrizia Messineo (figlia di un altro papà), zia Silvana e le cugine. I soccorritori la trovarono viva ma in gravissime condizioni accanto alla sua bambola rossa. Morì in ospedale due giorni dopo. La bomba uccise anche la sorella Patrizia, di 18 anni, e la zia Silvana Serravalli.
La vittima più piccola si chiamava Angela Fresu, 3 anni, il suo corpo e quello di sua madre Maria, non fu mai ritrovato perché disintegrato dall’esplosione insieme a quello della mamma.
Famiglie devastate, famiglie che per coincidenze della vita si trovavano li, persone diventate preda della follia umana, quella che di umano non ha nulla, quella che è ancora oggi, dopo 41 anni dall’accaduto, in attesa di risposte, quelle risposte rimaste lì, sepolte da tanta distruzione, o solo “comodamente celate”, pensando erroneamente che sarebbero state dimenticate.

Ma non si può chiedere questo, non si può soprattutto nei riguardi dei parenti delle vittime che non hanno mai smesso di cercare questa scomoda ed inammissibile verità.
Si scava, si scivola sul sangue, le ambulanze sembrano non essere più sufficienti ed allora, si decide di utilizzare il bus 37 per trasportare prima alcuni feriti in ospedale poi, purtroppo, solo i morti della strage, in un triste viaggio che prosegue fino a notte fonda tra la stazione ferroviaria e gli obitori cittadini.
Quel bus circolava in città con i finestrini coperti da drappi bianchi che qualcuno mise proprio per non rendere visibile quel carico di morte.

Gli esecutori materiali militanti di estrema destra, appartenenti ai Nuclei Armati Rivoluzionari, tra cui Valerio Fioravanti.
Gli ipotetici mandanti (servizi segreti deviati e criminalità organizzata…) rimasti ad oggi sconosciuti, e le famiglie ancora in attesa di conoscere la verità.
Qualcuno è sopravvissuto come Marina Gamberini che all’epoca del fatto aveva 20 anni ed impiegata presso la Cigar, società di ristorazione che si trova al primo piano della stazione di Bologna, proprio sopra la sala d’aspetto di seconda classe. E’ rimasta sotto un cumulo di macerie, con il corpo dolorante, fino a che da quel buio è riuscita a scorgere la luce, e si è aggrappata alla mano del soccorritore che è riuscito ad estrarla da quell’inferno di pietre e dolore. E’ stata Marina l ’unica superstite dell’ufficio. Ancora

oggi gira nelle scuole e racconta ai ragazzi cosa è successo quel giorno, cosa è accaduto alla sua giovane vita, segnandola per sempre. Ha impiegato tanto tempo per convincersi che non è una colpa essere stata l’unica sopravvissuta delle sette impiegate del suo ufficio, ha dovuto lottare contro incubi, sensi di colpa e quell’orrore rimasto per sempre nel suo sguardo.
Una pagina triste, una pagina fatta di dolore incancellabile e verità nascoste, una pagina di storia che dovrebbe far riflettere tutti e che è rimasta ben visibile ogni volta in cui ci si reca a Bologna, perché in quello squarcio lasciato sul muro, è racchiusa tutta la tristezza e tutto il dolore provato.

Una pagina in cui tante esistenze sconosciute tra loro sono state colpite dalla sofferenza e dalla morte.
Ma anche la storia di tanti soccorritori, di tanti cittadini volontari che si sono uniti per cercare di salvare chi non conoscevano, lasciando le proprie famiglie da sole per giorni, dimenticando di bere e di mangiare, di riposare, perché tutto è passato in secondo piano.

Una storia che dovrebbe far riflettere perché la cattiveria non conosce colore di pelle differente, perché anche noi siamo stati cattivi, perché chi ha comandato questa strage, magari ancora impunito, ha giocato sulla vita creando allarmismo e terrore, vedendo in questi gesti vili il potere che non è riuscito/a ad ottenere diversamente.
Pagine di dolore e lacrime, di disperazione e sgomento che i cittadini non hanno meritato, non meritano e devono far si che non si ripetano mai più.

Da questi atti non si evince ne forza e neanche grandezza, ma la pochezza che mai porterà il rispetto pulito che va meritato, senza avere le mani sporche del sangue innocente.
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Immagine tratta dal web

Anna Lisa Minutillo
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Pubblicato da Anna Lisa Minutillo

Blogger da oltre nove anni. Appassionata di scrittura e fotografia. Ama trattare temi in cui mette al centro le tematiche sociali con uno sguardo maggiore verso l'universo femminile. Ha studiato psicologia ed ancora la studia, in quanto la ritiene un lungo viaggio che non ha fine.