Castagne matte e gnomi nel bosco

DI INES GUADAGNINI

 

C’ erano una volta, tantissimo tempo fa, un papà buono e la sua piccola figlia. Si amavano teneramente e il loro amore rendeva ogni gesto e ogni parola speciali, quasi magici.
Vivevano, a volerla dire tutta, in un luogo che di magico però non aveva nulla: non si accendevano tramonti incantati nelle serate estive; non si sentiva il profumo dei fiori di gelsomino, quando maggio riveste generoso le siepi dei giardini; non scorrevano piccole vene d’ acqua dove poter cercare rane e girini.

Soprattutto non c’ era il mare con il suo odore intenso e il suo rumore furioso nelle giornate tempestose. Si vedevano, al contrario, lunghe file di fabbriche grigie, adagiate lungo la periferia della grande città, apparentemente disabitate, ma rumorose, invece, per un orecchio attento, a testimonianza dell’ incontro operoso di uomini e macchine.

La gente che li vedeva passeggiare tenendosi per mano, aveva espressioni di stupore e meraviglia:
“ Guardate come sono belli ! Lui sembra un principe con quel suo largo cappello e il passo elegante e lei è sicuramente la sua principessa …fate largo, fate largo…lasciateli passare ! “
La loro dimora sembrava, da fuori, un po’ demodè con la sua forma stretta stretta, allungata su due piani. A fatica sporgevano due balconcini con la ringhiera di ferro, ma proprio da quelli il papà e la sua piccola figlia immaginavano spesso di recitare la parte del re e della regina, fino a quando la mamma non chiamava – tutti a tavola che è pronto -.

Dall’ interno della cucina poteva accadere che giungesse la musica di un grammofono e loro ne approfittavano, rientrando, per muovere qualche passo di danza: lei saliva con i suoi piedini sulle scarpe di lui e insieme ridevano per quell’ inganno innocente, piroettando fra le sedie e il tavolo, immaginandosi nel salone di un grande castello. Giocavano spesso insieme il papà e la sua piccola figlia. Lui era prodigo di invenzioni strabilianti, faceva giochi di prestigio che sembravano vere magie; inventava anche fiabe con maghi e fate, faceva arrivare cavalieri invincibili che liberavano principesse prigioniere, e lei lo ascoltava rapita, gli occhi spalancati sul mistero…

“ Papà, quando sarò grande, voglio diventare una principessa e ti sposerò perchè tu sei il mio re “ gli diceva convinta.
Davanti a quella dimora si apriva anche un piccolo giardino che in qualche modo permetteva loro di godere dei fiori di lavanda in estate e dei mille colori delle foglie in autunno. Non era molto, ma con un po’ di fantasia si potevano anche trasformare le file di formiche in allegri nanetti in marcia e qualche coccinella in una fata buona.

Un gatto bianco e nero passeggiava pigro su e giù, fra l’ albero di cachi e qualche cespuglio di rosmarino, inconsapevole delle innumerevoli volte nelle quali aveva indossato stivali e cappello per difendere il suo padrone! Quante fiabe, quanta fantasia in quel giardino incantato !
Qualche tempo dopo, però, i nostri dovettero purtroppo cambiare dimora.

La tristezza fu grande, ma nè lei nè lui si persero d’ animo . Anche se il palazzone nel quale erano andati ad abitare rendeva difficile riprendere il gioco del “ facciamo che tu eri il re e io la principessa”, iniziarono subito ad andare alla ricerca di un luogo che permettesse loro di continuare a sognare. E gira e rigira lo trovarono: era un pioppeto che, sorprendentemente, si apriva al di là del cemento, quasi un miracolo della natura, indomita nonostante gli affronti subiti. Così partirono, in un pomeriggio di sole, per andare a conoscere i misteri di quel bosco.
Sui tronchi alti e sottili dei pioppi si innalzavano fronde leggere, appena mosse dal vento.

Continuarono a camminare, nel silenzio rotto solo dal loro passaggio. Giunsero fino alla fine del bosco, proprio là dove alcuni ippocastani sorgevano a definire un viale con i loro tronchi imponenti. A differenza dei pioppi, questi erano alberi maestosi, che reggevano chiome larghe e ombrose; le foglie fitte nascondevano ricci spinosi pieni di castagne matte, ma molti di questi erano già caduti.

A lei piacevano tanto le castagne matte, così rotonde e lucide, e allora cercava quelle già uscite dal riccio, se le faceva rotolare fra le mani e poi ne raccoglieva fino a riempirsene le tasche.
“Guarda papà, sono bellissime così rotonde e lucide … ma cosa sono questi buchi nei tronchi ? “
A questa domanda il papà buono liberava tutta la sua fantasia per portare la sua piccola nel loro mondo incantato:
“Questi buchi nei tronchi li fanno gli gnomi del bosco “
“ E dove sono adesso ? Ma sono cattivi gli gnomi ? “ domandava allora lei
“ Certamente no! Gli gnomi non sono cattivi, anzi. Ma escono solo di sera perchè temono gli uomini. Di giorno si rifugiano in questi buchi e nessuno li ha mai visti. Chissà, forse noi potremmo essere fortunati e incontrarne uno” .

La piccola figlia sbarrava gli occhi, emozionata da quel racconto, ma la presenza rassicurante del papà le consentiva di abbandonarsi, senza timore, ad immaginare serate di luna piena, con gli gnomi seduti a conversare intorno a quei grandi tronchi .
E così la vita procedeva serena, piena di stupori e scoperte inaspettate.

Un brutto giorno, però, accadde ciò che non dovrebbe mai accadere: papà e figlia si persero! O per meglio dire lei si perse, e non in un bosco come avviene nella fiabe, ma più modernamente in una libreria affollata in centro città, perchè, come è evidente, questa è una favola nella quale realtà e fantasia si confondono e qualche volta non si sa più dove finisce l’ una e dove comincia l’ altra!

Fu allora che quel papà disperato cominciò a percorrere le strade, invocando: “Chi ha visto la mia bambina? C’ è qualcuno che me la può riportare?”. Prese a percorrere portici e vicoli chiedendo a chiunque incontrasse: “Ha visto una piccola bimba che sembra una principessa? è mia figlia, la prego mi aiuti !” . Allora, uno dopo l’ altro, uomini, donne, ragazzi si unirono a lui; le strade si riempirono di gente che chiamava forte il nome di lei, ma invano. Poi, finalmente, una voce si levò :
“ Venite, venite, è qui, l’ ho trovata” !

Oltre la porta della gendarmeria, due signori in uniforme ascoltavano una piccola bambina recitare una poesia, in piedi su di un grande tavolo. Asciugate le lacrime della disperazione nell’ essersi vista sola, cancellato il ricordo di quel singhiozzo, alternato a parole sussurrate in cerca di aiuto – ho perso il mio papà, …voglio il mio papà…la mamma dov’è ?- , ora tutto era finito, il papà e la mamma sarebbero arrivati presto, i gendarmi non dicono mai bugie !
L’ abbraccio del ritrovarsi fu accompagnato da grandi grida di gioia; il frastuono assordante dei clacson delle auto divenne suono di campane a distesa, come nei giorni di festa; la gente si mise a ballare e a cantare nelle strade e altro ancora. Perchè così succede nelle fiabe e così succede nella realtà quando si mescola alla fantasia.

Ma poi venne il giorno della tristezza, quello in cui il papà buono volò per sempre verso l’ azzurro del cielo, nell’ aria ferma di un pomeriggio estivo. Improvvisamente calò il silenzio, si spensero le luci e tutto si fece buio, troppo presto per poter essere compreso e accettato dalla sua piccola figlia.
Ancora oggi, però, il ricordo di mio padre e di quella lontana felicità, torna ad illuminare il mio cuore e le mie giornate. Con il profumo magico dell’ infanzia, inevitabilmente !

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